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Ora del Mondo 1883-1895

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"Maggio 1883" L'Ora del Mondo

Presiede Sua Eminenza Mons. Giuseppe Formisano - Vescovo di Nola

Con squisite espressioni che ripetono il lirismo dei solenni salmi biblici, B. Longo, nel programma delle feste del 1883, annunciava la sua novella preghiera alla Madonna.
"Alleluia! O Fratelli: Leviamo oggi un cantico di festa. Cantiamo oggi più giuliva la dolce canzone di amore alla Vergine".
È l’atto di amore alla SS. Vergine di Pompei, il cantico supplice da recitarsi il giorno 8 di maggio nell’ora di mezzodì. "Una preghiera comune, in Atto di Amore che raccogliesse quel popolo nascente (i primi pompeiani) sotto il vessillo di Maria e perciò pregasse di una stessa preghiera".
In questi propositi affonda e prende vita la radice dell’Atto di Amore, la preghiera primigenia, il palinsesto, pressappoco il canovaccio della Supplica.
L’Atto di Amore traduceva la fiamma che divampa nel cuore di Bartolo Longo e che si alimentava nell’ardore di una fede che investiva e permeava tutto il suo essere.
Nell’ora di mezzodì, oltre a dodicimila associati al Tempio di Pompei levarono unanimi la preghiera alla Vergine.

Era l’otto di maggio del 1883. Innumerevoli devoti, pur lontani, alla stessa ora, prostrati davanti all’immagine della Madonna, recitando la medesima Preghiera, si unirono al coro che Don Bartolo, con fervore acceso, aveva sollecitato intonando l’inno alla Vergine. Quell’Atto di Amore concepito e dettato come preghiera di contrizione, cantico di lode, invocazione supplice ricca di pietà profonda.
Dall’Unità Cattolica del 17 maggio 1883 n° 115, stralciamo solo un breve significativo passaggio della relazione stesa da B. Longo a commento della festa: "Ma la festa della prima campana, che ebbe luogo ieri l’altro, ha superato le nostre aspettative ed il più vivo entusiasmo che aveva già suscitato la semplice lettura del programma.

*La Festa dei Signori Forestieri - (Prima Parte)
Folla di rappresentanti della nobiltà napoletana e generosi benefattori alle celebrazioni dell'otto maggio 1883
Ambo i novelli Sacri Bronzi, Maria Rosaria e Caterina da Siena, si troveranno sollevate da terra a petto d’uomo sotto la Cupola per essere lavate dalle mani del Vescovo con l’Acqua Lustrale e consacrate con l’Olio Santo (1). Lo stesso Sacro Principe sarà assistito dai Canonici di Nola e dai Cantori del suo Seminario. Quindici elette Signore della più alta Nobiltà cattolica Napoletana (2), rappresentanti il numero dei Misteri del Rosario, saranno le Nobili Comari (3) di Maria Rosaria e di Caterina da Siena. Tra esse si noverano le prime Benefattrici del novello Santuario, la Marchesa Filiasi di Somma, la Marchesa Ruffo di Guidomandri, la Duchessa Albertini Sozzi-Carafa, la Duchessa di Laurenzana, la Sig.na Giovannina Muti Sabato, la Marchesa di Latiano, la Contessa di Balsorano Doria, la Duchessa di Paganica, la Principessa di Santo Mauro Saluzzo Caracciolo di Forino, la Baronessa Compagna, la Baronessa di Castro de Rosa, la Duchessa d’Eboli, la Sig.ra Elena Buonocore Giusso, la Signorina Giuditta Cattaneo dei Principi di S. Nicandro, la Marchesa Clementina Imperiali Volpicelli, la Marchesa Tommasi Giovanna di Somma, la Marchesa Torre Angela Tommasi, la Marchesa Imperiali Teresa Tommasi, la signora Anna Narici Scognamiglio, la Marchesa di Gallo Filomena Doria, la Principessa di Belmonte, la Principessa de Luna d’Aragona, la principessa di Cassero.
Compiuto che sarà il solenne Battesimo, immantinentia vista di tutti i figli del Rosario in Chiesa congregati, si eseguirà l’ascensione dei Sacri Bronzi, i quali sollevandosi insino al centro della Cupola, di là passeranno ad esser collocati nel piccolo provvisorio Campanile (4). E mentre che Maria Rosaria si va sollevando per giungere alla sommità del Tempio, verrà salutata la Regina del Cielo con il canto della Salve Regina in duetto dal noto e pio Tenore signor Francesco Caracciolo e dall’egregio Basso signor Francesco Capponi, i quali con tutto il trasporto di una tenera devozione a Maria si son presentati gratuitamente, ponendo la banda ogni altro loro ufficio. Siccome anche gentilmente e gratuitamente si presteranno ad eseguire la musica in Chiesa i signori dilettanti Achille Talamo (Violoncello), S. Festa (5) (Armonium) ed il Maestro Alfonso Amodio. Breve ed affettuoso Sermone sarà detto dal chiarissimo oratore napoletano Rev. Sac. D. Errico Marano (6) del Terz’Ordine di S. Domenico. Quindi il Santo Vescovo di Nola intonando l’Inno di lode all’Altissimo, armonizzando il cantico degli Angeli con il pietoso canto dei fedeli, impartirà solennemente la benedizione con il SS. Sacramento a tutti gli associati della nuova Chiesa presenti e lontani. Ed in quell’istante solenne, in cui il Padre e Redentore degli uomini benedirà i suoi figli che edificano la casa di sua Madre, Maria Rosaria per la prima volta scioglierà ai venti la sua santa voce, per annunziare al popolo Cristiano i novelli trionfi della Regina delle Vittorie: la quale su quella terra degl’infedeli e dei demoni ha formato una nuova famiglia, una santa Società, dove il Dio vero è il capo, la madre di Dio diventa Madre dei peccatori, e uomini e donne di ogni classe e di ogni paese si raccolgono colà sotto il manto della Madre di Misericordia. Sicché il primo suono di Maria Rosaria sarà una voce di adorazione a Dio, di benedizione al redentore degli uomini, di nunzio felice di grazie e di benedizioni che dal Cielo pioveranno in quel giorno su tutti i figli della Chiesa di Pompei. E quell’ora benedetta sarà appunto il mezzodì degli 8 di Maggio del 1883, quell’ora in cui tutto il Mondo cattolico al suono delle Campane di tutte le Chiese d’una sola voce saluta Maria piena di grazia e Madre di Dio; ed in quell’ora in Pompei per la prima volta la squilla di Maria Rosaria echeggerà per il muto Anfiteatro e per la deserta Città pagana; ed il sonoro suo fremito scuoterà i cuori più duri, e trarrà lacrime di compunzione e di amore per la bella Sovrana degli Angeli, invitando ciascun fedele al dolce suono di Gabriello, Ave Maria. E tutti i figli del Rosario, presenti o assenti, vicini o lontani, tutti in quell’ora saluteranno la loro tenera Madre, la loro cara Regina con un fremito di venerazione, con un palpito d’amore.
Note
(1) La riforma liturgica, attuata dal Concilio Vaticano II, ha disposto che i sacri riti siano espressi più chiaramente al fine di facilitare la comprensione al popolo cristiano, consigliando di dare preferenza alla Parola contenuta nei Sacri Testi più che ai segni, spesso di non facile interpretazione. Pertanto lo svolgimento del rito di benedizione delle campane, più complesso una volta, ma così suggestivo, è attualmente snellito. Non necessariamente il Vescovo in qualità di ministro, ma un sacerdote che, dopo aver tenuto l’omelia per l’occasione, invita la comunità ecclesiale alla preghiera ed alla meditazione; indi, aspersa la campana con l’acqua benedetta la incensa ed il rito è così compiuto. Un breve cenno sul vecchio rito. La cerimonia si apriva con il canto dei sette salmi penitenziali.
La chiesa tutta preparata a festa, ornata con fiori e tralci di foglie verdi intrecciate a festoni; il Vescovo ed il Clero vestivano dei paramenti più belli, intonavano i canti e, negli intervalli, le preghiere in coro unanime con i fedeli. Il rito aveva inizio con la benedizione dell’acqua già preparata in un capace catino sistemata nei pressi della campana. Il Vescovo, servendosi di un fascetto di rami freschi di mirto intinti nell’acqua benedetta, lustrava tutta la campana all’esterno ed all’interno quasi a volerla liberare da ogni scoria di impurità. Quindi con il Sacro Crisma (olio e balsamo benedetti), tracciava sull’esterno della campana sette croci ad evocare il ricordo dei sette doni dello Spirito Santo. Nell’interno, ancora quattro croci, a voler significare i quattro punti cardinali in direzione dei quali la campana avrebbe fatto sentire la voce di Dio. Veniva quindi collocato sotto la campana un braciere con carboni accesi, simbolo della fede ardente del popolo di Dio; il Vescovo su quel fuoco bruciava l’incenso, la scorza della timiana, lo stesso albero che dà l’incenso, la mirra. Il fumo profumato dei preziosi aromi avvolgeva la campana simbolicamente purificandola.
Un canto di ringraziamento e di gloria al Signore ed alcuni solenni rintocchi della campana benedetta concludevano il suggestivo rito.
(2) “Per esattezza storica, però, ho da confessare che non tutta l’aristocrazia napoletana ci aprisse le porte e ci facesse oneste e liete accoglienze. Anzi, talvolta, dopo essere tornati due o tre volte a scendere e salire le marmoree scale, ci convenne sopportare qualche amara conclusione. Nondimeno io sento il dovere di ringraziare il generale il patriziato napoletano, perché sovrabbondò di fiducia e di carità in un’opera che allora era affatto oscura, promossa da uomini oscuri, e di oscuri ed incerti risultamenti.
Ed ecco come, certo per consiglio divino, la nobiltà napoletana venisse eletta dalla regina del Cielo a concorrere ai primordii del Santuario di Pompei” (B. Longo).
(3) B. Longo, invitando le quindici pie nobildonne napoletane a fungere da madrine (comari), intendeva esternare un segno della sua profonda gratitudine verso quelle signore che avevano sostenuto ed ancora sostenevano, con ogni mezzo, la nascente Opera Pompeiana.
(4) “Ho ricevuto dal signor Bartolo Longo la somma di lire 196 e sono l’importo dei lavori eseguiti per costruire il provvisorio campanile della Chiesa del SS. Rosario a Valle di Pompei, giusta misura.
Valle, addì 31 marzo 1883. Firmato Vincenzo Accardi – (da Scafati).
A margine è segnato, con altra grafia: lire 8 al metro cubo.
Nel 1934, a seguito dei lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’interno Edificio Sacro, il campaniletto, già non più utilizzato (l’inaugurazione dell’attuale Monumentale Campanile risale al 1925), dovette essere demolito. Esso sorgeva sul fianco orientale del Tempio, pressappoco all’altezza dell’attuale cappella dedicata a san Giuseppe.
(5) Negli scritti del Beato e tra le carte conservate nell’Archivio, non vi è alcuna notizia circa questi artisti che gratuitamente, “ponendo da banda ogni altro loro ufficio” intervennero alla festa e prestarono la loro opera. Solo un’ipotesi: quel dilettante che suonò l’armonium, (Salvatore Festa), potrebbe verosimilmente essere lo stampatore napoletano che, insieme al fratello Andrea, gestiva in Napoli, alla via S. Biagio dei Librai n° 102, una tipografia libraria specializzata in lavori di soggetto prevalentemente religioso. Fin dai primordi dell’Opera Pompeiana, B. Longo si rivolse ad essi, amici e devoti, per la stampa di tutto il materiale necessario alla propaganda della Nuova Chiesa del Rosario. “La prima volta che apparve un libro intorno al Santuario di Pompei fu nel gennaio 1879. Lo scrissi io stesso ed a mie spese, vide la luce in Napoli, per tipi di Andrea e Salvatore Festa, in un volumetto da 100 pagine in 8°” (B. Longo). In questa stessa tipografia (cita per sommi capi), furono stampati: volantini di propaganda, opuscoli di preghiere, gli inviti per le grandi feste, i programmi delle feste, una delle prime immagini in litografia del quadro della vergine disegnata da Gennaro Amato, i primi otto numeri (270 pagine) del Periodico “Il Rosario e la Nuova Pompeo”, dal 7 marzo fino al 7 agosto 1884, anno in cui cessa il rapporto di lavoro con i fratelli Festa. Nell’agosto del 1884, B. Longo, impianta la tipografia del SS Rosario in Pompei, stamperà tutto in proprio.
La tipografia, più tardi, sarà anche scuola per i figli dei carcerati; da essi usciranno capolavori di stampa e maestri dell’arte tipografica.
(6) Mons. Enrico Marano (1843-1928), passa alla storia come una delle grandi figure che composero il Cenacolo Napoletano di Padre Ludovico da Casoria. Passati i primi anni della sua giovinezza spesi nell’insegnamento presso il celebre collegio della Carità a Napoli, lasciò la scuola per dedicarsi alla predicazione rivelandosi in breve tempo oratore eloquente ed originalissimo. B. Longo lo aveva appena ascoltato a Napoli e ne fu colpito al punto da volerlo a Valle di Pompei, in occasione della solenne benedizione della prima campana. Da quella data, 8 maggio 1883, per 35 anni, i fedeli, in ogni ricorrenza di rilievo, ascoltarono sempre la sua voce. Mons. Marano resta, nella storia del Santuario, con il glorioso titolo di “primo oratore della Madonna di Pompei”. (Autore: Nicola Avellino)
*La Festa dei Signori Forestieri - (Seconda Parte)
Il Beato Bartolo Longo volle legare le sorti del nascente Santuario alla protezione dell’arcangelo Michele. Per questo motivo scelse l’otto di maggio come il giorno della grande festa pompeiana
Di che il giorno 8 Maggio, sotto la custodia del Principe degli Angeli S. Michele (1), Protettore del novello Tempio, sarà assai memorabile ai fratelli e alle sorelle di Pompei. Esso è scritto nel Cielo nel Libro dei predestinati alla vita, poiché ricorda quel giorno in cui ebbero cominciamento i trionfi della Regina delle Vittorie sulla terra dei Gentili ed il novello Santuario delle sue Misericordie. Il sole meridiano degli 8 maggio del 1876 salutò nella nuda e silenziosa campagna di Pompei pochi Terziari Domenicani ed un drappello di eletti Signori e Signore Napoletane, che facevano ala al Principe di Santa Chiesa, confortati solo dalla fede e dall’amore in Dio, ma giammai dalla speranza (che sarebbe apparsa follia) di vedere con gli occhi propri elevarsi e compiersi su quella piccola Pietra, su quella vile zolla di terra, un gran Tempio al Re dei re al Signore dei Dominanti (2).
Al volgere di sette anni (numero biblico, profetico ed indicatore di grazie) il sole meridiano degli 8 Maggio del 1883 irradierà la fronte festiva di presso a Trentamila Fratelli e Sorelle (3) sparsi in Italia, nelle Spagne, in Inghilterra, in Austria, in Polonia, e fin nelle Indie e nelle Americhe; e meglio che Duemila Terziari Domenicani, i quali tutti d’un sol cuore e d’un anima sola concorrono ad edificare il Trono della loro Madre e Regina, dove da sette anni continui diffonde le sue grazie ai gementi figliuolo di Eva
(Bartolo Longo)
Note
(1) La devozione di Bartolo Longo per l’Arcangelo S. Michele fu, fin dai primordi dell’Opera Pompeiana, sentita e profondissima. Di come sia nata in Lui tanta venerazione ed in qual modo sia cresciuta e maturata, conviene fare un breve cenno; nel contempo sarà anche necessario fornire qualche altra singolare notizia di indole storica al fine di consentire una più esatta comprensione degli eventi.
Curatore dei beni della Contessa De Fusco, ai primi di ottobre dell’anno 1872, Bartolo Longo da solo, venne per la prima volta a Valle di Pompei; era stato incaricato di riscuotere i canoni dai coloni che avevano in fitto l’estesa masseria di circa cinquantaquattro moggi di terra posseduti dalla famiglia De Fusco.
L’anno successivo, sempre nell’ottobre, insieme con la Contessa e con tutta la sua famiglia, Bartolo Longo ritornò a Valle di Pompei per trascorrervi un breve periodo di riposo.
Presero alloggio nella Taverna di Valle, un tempo umile ricovero e posto di ristoro per i viandanti che si recavano nelle Calabrie. Era l’unica ed antichissima casa posta al centro di una notevole estensione di terra ubicata all’estremo limite della Provincia di Napoli. La Taverna di Valle era composta da un piano terrneo di cinque vani, (l’antico ricovero per i viandanti) e da tre camere di più recente costruzione situate al piano superiore.
“Erano le 10 del mattino del 15 novembre 1875, il Vescovo di Nola, Mons. Giuseppe Formisano, affacciatosi alla finestra (lato nord) della stanza di mezzo che guardava la vecchia e cadente Chiesa Parrocchiale del SS: Salvatore, accennando con la mano al campo contiguo alla Chiesetta, in tono profetico esclamò: “Quello è il luogo, dove deve essere edificato un tempio in Pompei” (B. L.).
Era la prima pietra morale del Santuario, tutto quello che seguì in ossequio ed ottemperanza alla volontà del Vescovo, è un passo di storia conosciuto in tutto il mondo.
Al lato opposto, esattamente rivolto a sud, le altre finestre della Taverna di Valle davano su di un vasto giardino anch’esso di proprietà della Contessa De Fusco e, più in là, fino a perdita d’occhio, si estendeva la Valle chiusa dalla maestosa catena dei Monti Lattari. Esaurita la breve disgressione topografica, torniamo al tema e leggiamo quanto nel 1888 scrisse Bartolo Longo in proposito.
“Ogni giorno, nell’aprire la finestra della nostra camera in Valle di Pompei, l’occhio si posa sui monti di rimpetto, che formano un’immensa barriera all’oriente di Castellammare. Il nostro sguardo si affissa tosto sulla sommità di quel vertice a tre punte che coronano il monte Gauro.
Apparve un dì l’Arcangelo S. Michele al Vescovo di Castellammare, San Catello, e gli impose di edificargli un Tempio nel luogo che gli indicò con una fiamma.
Il Santo Vescovo si accinse all’Opera: ma, a seguito di atroci calunnie, mossegli contro dai suoi stessi concittadini, venne destituito dalla sede episcopale, chiamato a Roma, e chiuso colà in carcere. Se non che il suo Patrono S. Michele, e il suo fedele amico, S. Antonino Arcivescovo di Sorrento, lo liberarono. S. Catello fece suo ritorno alla sede di Castellammare, accolto trionfalmente da tutto il popolo, il quale, guidato dal santo Arcivescovo di Sorrento, Antonino, gli andò incontro, acclamandolo, nella terra di Pompei…
Dal primo giorno che noi leggemmo nel Divino Uffizio codesta apparizione, disponemmo in cuor nostro che il Santuario della Vergine di Pompei e tutte le opere di pietà e di beneficenza che saremmo per fondare qui, le avremmo poste sotto la protezione del Principe degli Angeli, S. Michele, il quale sin dai primi secoli della Chiesa mostrò visibilmente di volere essere onorato in questi luoghi. E fin da allora disponemmo il tutto in cuor nostro di erigergli un altare in questo Santuario. Avevamo ben bisogno di una protezione del Capo di tutti gli Angeli contro il Capo di tutti i diavoli, che non cessa mai di far guerra alla Donna, onde ebbe schiacciato il capo.
Per gloria di S. Michele noi confessiamo che non vi è privilegio, non vi è conflitto, in cui, sua mercé, quest’Opera di Pompei non sia risultata vittoriosa.
E però noi sempre abbiamo posto studio a fare che la principale festa in Valle di Pompei accadesse nel giorno dedicato alla festa dell’eccelso fra gli Angeli. (La festa dell’Arcangelo Michele cadeva l’8 maggio, giorno della sua apparizione sul monte Gargano. Questa coincidenza delle apparizioni – Monte Gargano e Monte Gauro -  può aver indotto il Beato, al di là della festa liturgica, a fissare l’8 maggio come il giorno provvidenziale per ogni sua iniziativa n.d.r.).
Di fatto, oltre alla originale funzione della prima Pietra di fondazione del Santuario, che avvenne negli 8 di Maggio del 1876, ordinammo in altro anno, anche per il giorno 8 Maggio, il Battesimo della Prima Campana di questo Tempio. E nel giorno 8 Maggio fu inaugurato il primo Orologio pubblico per segnare le ore ai contadini della Valle.
E nel giorno 8 di Maggio di altro anno presentammo ai devoti completa la Cupola del Tempio.
E nel giorno 8 di Maggio di altro anno facemmo trovare allungato il Tempio dalla parte superiore, e venne benedetta la prima pietra di fondamento all’altare Maggiore.
E nel giorno 8 Maggio di altro anno venne solennemente consacrato l’Altare Maggiore, inaugurato il gran Monumento in onore della regina delle Vittorie, ed Incoronata la vergine con il diadema di brillanti e di zaffiri…
Michele, il primo Custode di Colei, che fi il Santuario del Dio vivente sulla terra, venne designato da Dio a Custode e difensore di tutti i Santuari della terra dedicati all’onore di Maria.
Ecco svelata la ragione perché noi fin dalla prima ora scegliemmo così potentissimo Principe a guardia di questo Tempio e delle opere nostre.
Ed il fortissimo e bellissimo Principe, benigno sempre, ci ha fatto provare più volte il beneficio della sua protezione, eludendo gli sforzi di Satana a danno di questa Chiesa”.
(2) Bartolo Longo ricorda la Benedizione della prima pietra del Tempio.
(3) Sono i fratelli e le sorelle associati alla Confraternita del Rosario. “Si voleva rendere stabile la devozione del Rosario e non altro espediente si trovava che erigersi una Confraternita che sopperisse a tutti i bisogni di quel popolo nascente.
Val quanto dire, raccogliergli sotto il Vessillo di Maria, perché pregassero di una stessa e comune preghiera, eccitarli a dare pietoso accompagnamento alle salme dei loro cari estinti, e suffragi a quelle anime, e pietosa assistenza e medicina ai fratelli infermi; dare infine maritaggi alle donzelle povere” (B.L.). Per attuare tale disegno, B. Longo pregò padre Radente di intercedere presso il Generale dell’Ordine di Roma affinché concedesse il necessario prescritto diploma di erezione alla Confraternita. Frattanto non indugiava; con entusiasmo prese a girare per le campagne presso i contadini illustrando loro il suo programma e chiedendo nel contempo le adesioni; similmente, la Contessa De Fusco, cominciò a visitare le dame di sua conoscenza del patriziato napoletano raccogliendo tra loro numerosi consensi.
Il caldo interessamento di padre Radente diede fruttuosi e consolanti risultati. Il 12 dicembre del 1875, il Maestro Generale dell’Ordine dei Predicatori, Fra Giuseppe Maria Sanvito, firmava a Roma il diploma di istituzione della Confraternita.
Il 13 febbraio dell’anno 1876, domenica, a tutti gli iscritti raccolti nella Vecchia Parrocchia, Padre radente, lesse il Diploma del Padre Generale dell’Ordino e quindi, a voce di popolo, solennemente dichiarò eretta la Confraternita del Rosario in Valle di Pompei. Il sacerdote R. Don Gennaro Federico fi acclamato Rettore. La solenne cerimonia fu occasione propizia per aggregare al Terz’Ordine di San Domenico il Parroco, Don Giovanni Cirillo, il sacerdote Don Gennaro Federico ed altre undici persone abitanti della Valle.
La Madonna premiò le fatiche e lo zelo di B. Longo donandogli “Il massimo dei contenti”; in pochi anni la Confraternita del Rosario si diramò non solo in Italia, ma in Europa ed in tutto il mondo. Nel 1923 infatti, scrive B. Longo, la Società del SS. Rosario di Valle di Pompei contava più di cinque milioni di aggregati fra cui Vescovi e Cardinali, Principi, Regine, il Papa Leone XIII. (Autore: Nicola Avellino)
*La Festa dei Signori Forestieri - (Terza Parte)
“L’atto di amore a Maria, composto da B. Longo per la benedizione della prima campana del Santuario, si rivelerà sin dal primo momento come una preghiera fortemente aggregante divenendo così il motivo ispiratore della Supplica.
Avventurati figliuoli del Rosario! Dilatiamo il nostro cuore alle più dolci speranze, che in quel giorno che offriremo a Maria la Prima Campana del Rosario in Pompei, la nostra tenerissima Madre non saprà negarci alcuna grazia.
E però per formare una santa lega di preghiere e strappare in quel giorno dal Cuore di Maria tutte le Grazie desiderate, si è pensato di formulare una preghiera comune, un “Atto di amore a Maria”, che ogni iscritto riceverà con il presente invito, affinché da tutti gli associati, anche più lontani, sia recitata, unendosi in spirito con coloro che si troveranno ai piedi di Maria in Pompei. Non sarà un novello Vespro di sangue, no, ma sarà un novello coro di pace, di perdono, di amor di Cielo, che tutti i figli di S. Domenico e tutti i figli del Rosario raccoglierà più stretti e più amorosi al seno della loro Madre comune.
(Bartolo Longo)
Con squisite espressioni che ripetono il lirismo dei solenni salmi biblici, B. Longo, nel programma delle feste del 1883, annunciava la sua novella preghiera alla Madonna. “Alleluia! O Fratelli: Leviamo oggi un cantico di festa. Cantiamo oggi più giuliva la dolce canzone di amore alla Vergine”.
È l’atto di amore alla SS. Vergine di Pompei, il cantico supplice da recitarsi il giorno 8 di maggio nell’ora di mezzodì. “Una preghiera comune, in Atto di Amore che raccogliesse quel popolo nascente (i primi pompeiani) sotto il vessillo di Maria e perciò pregasse di una stessa preghiera”.
In questi propositi affonda e prende vita la radice dell’Atto di Amore, la preghiera primigenia, il palinsesto, pressappoco il canovaccio della Supplica.
L’Atto di Amore traduceva la fiamma che divampa nel cuore di Bartolo Longo e che si alimentava nell’ardore di una fede che investiva e permeava tutto il suo essere. Nell’ora di mezzodì, oltre a dodicimila associati al Tempio di Pompei levarono unanimi la preghiera alla Vergine.
Era l’otto di maggio del 1883. Innumerevoli devoti, pur lontani, alla stessa ora, prostrati davanti all’immagine della Madonna, recitando la medesima Preghiera, si unirono al coro che Don Bartolo, con fervore acceso, aveva sollecitato intonando l’inno alla Vergine. Quell’Atto di Amore concepito e dettato come preghiera di contrizione, cantico di lode, invocazione supplice ricca di pietà profonda.
Dall’Unità Cattolica del 17 maggio 1883 n° 115, stralciamo solo un breve significativo passaggio della relazione stesa da B. Longo a commento della festa: “Ma la festa della prima campana, che ebbe luogo ieri l’altro, ha superato le nostre aspettative ed il più vivo entusiasmo che aveva già suscitato la semplice lettura del programma. Migliaia di eletti e generosi signori e dame della più alta nobiltà di Napoli e di altre città facevano risuonare il nascente Santuario delle loro preci, dei loro sospiri e dei gemiti del cuore ai piedi della Madre di Misericordia, che in quel giorno diffondeva dal suo vergineo sguardo chiarori di una insolita bellezza”.
Nostalgia devozionale e rigoroso rispetto per la storia ci inducono a ripubblicare il testo della felicissima preghiera che, sebbene sia stata effimera ed oggi obsolenta, resta l’unico documento indispensabile per conoscere i moventi e scoprire la radice da cui nacque la Supplica.
L’immenso fervore devozionale suscitato dall’Atto di Amore, sebbene recitato una sola volta l’otto di maggio del 1883, rese ardito B. Longo disponendolo ad accogliere con più efficacia l’ispirazione della Provvidenza.
In pochi giorni stese una novella preghiera destinata ad uscire dagli angusti confini paesani e composta perciò con l’intento di coinvolgere tutti i credenti sparsi nel mondo incitandoli alla devozione per la Vergine di Pompei. È questa la Supplica: l’inno di gloria alla Vergine, mistica invocazione, il magico cantico che commuove, sublime. (Nicola Avellino)
*La Festa dei Signori Forestieri - (Quarta Parte)

"Maggio 1884" L'Ora del Mondo

Presiede Sua Eminenza Mons. Giuseppe Formisano - Vescovo di Nola
La Festa di domani (8 Maggio 1884) a Valle di Pompei
Ed oggi, 7 di Maggio 1884, siamo già pervenuti alla vigilia del gran giorno, anniversario di quello in cui i Cieli si aprirono alla pietà dei poveri abbandonati contadini Pompeiani: giorno preordinato dall'eternità, in cui cominciò un nuovo periodo di salute per innumerabili anime, venendo posta a mediatrice tra la giustizia di Dio e il peccato dell’uomo la madre della Misericordia, la clemente Regina del SS. Rosario.
E qui, in questo luogo, ove oggi è sorto un Santuario, qui, dove non era se non deserta campagna, sulle morbide zolle coperte di verde prato, tra lo stormire delle fronde dei pochi alberi che circondavano questa lingua di terra; domani, farà otto anni, qui discese la prima volta il Signore a rendere sacro il suolo profanato dalle ossa di antichi pagani.
E qui il venerando Vescovo di Nola incideva sul freddo marmo il segno di redenzione, su quella pietra, che doveva essere il sostegno angolare della futura Casa del Signore; quella pietra raffigurava Gesù Cristo, che è base e fondamento della vita individuale, della vita sociale e della vita morale dell’umanità. “Pietra autem erat Christus”.
E Gesù Cristo di fatti è stato adorato, amato, invocato in questo luogo, che otto anni or sono era deserto, ed oggi frequentato da migliaia e migliaia di figli suoi, i quali portano scritto in fronte il “Tau” della predestinazione.
Oh! chi l’avrebbe detto a quel piccolo stuolo di eletti Signori e Dame napoletane, a quel devoto drappello di Terziari Domenicani, che negli 8 di Maggio del 1876, venivano mossi da insolita fede a lasciare le feste clamorose della vicina Castellammare, per venire a prostrarsi in un’aperta campagna ai raggi cocenti del sole esposti, per adorare il Re dei Re, che in quell’ora tramutava in questo luogo un intero ordine di fatti, d’idee e di storia? La terra dei gentili era mutata in abitazione santa del vero Dio; e questo luogo un giorno consacrato a false deità ed al culto dei demoni, oggi sarebbe servito di sgabello al trono della regina delle Vittorie.
E questa terra di Valle di Pompei, che raccoglieva dispersi e solinghi abitatori, che neppur di nome si conoscevano dalle vicine città; oggi, al compiere di otto anni, forma il luogo più caro e più conosciuto a quanti amano Maria ed il suo Rosario, e ottengono per cagione di questo Tempio grazie e favori celesti.
Tutte le opere del Signore seguono una legge conforme, perenne, generale, la legge della contraddizione da parte degli uomini. E questa legge si rivela in speciale modo nell’Opera santa di Pompei. Non vi è festa che si faccia nel nascente Santuario, che non sia accompagnata da imprevedute e insormontabili contraddizioni; le quali alla fine risultano al maggior trionfo della Regina delle Vittorie.
Or chi lo crederebbe?
Il giorno di domani ha un certo riscontro con il ricordevole giorno degli 8 di Maggio del 1876. In quel mattino, che si dava incominciamento al Tempio del signore in Pompei, la festa religiosa e sacra della benedizione della prima pietra pareva essere distornata dalla festa tutta del varo di una gran nave da guerra (il Duilio) che aveva luogo nella stessa ora nella vicina città di Castellammare. E domani che tutti i figli della Chiesa del Rosario di Pompei celebreranno la ricordanza delle misericordie della divina Madre e il felice anniversario delle prime fondazioni del Tempio di Maria, domani un’altra festa civile, cioè i giochi e gli spettacoli alla pagana, verranno eseguiti poco lungi dal Santuario di Maria, cioè dentro la morta città dei gentili. Sarà dunque un novello riscontro di fatti. Ricordo del Paganesimo, che porta sempre con sé le impronte di morte, tuttocchè rivestito a festa e adorno di fiori: trionfo del Cristianesimo, il quale tuttocchè ristretto fra le rozze mura di un Tempio nascente, ha la virtù di far sorgere i morti, richiamare a vita ed a speranza nuova gli abbattuti figlioli di Adamo. Sì, il cristianesimo solo può, senza apparati di festa o di giochi o di novità, trarre con la potenza irresistibile della sua fede e del suo amore migliaia di eletti alle porte della novella Sion, bella di fresca fede e di giovanile amore, qui presso i ruderi di un sanguinoso anfiteatro.
Oh! quando domani tutta quella gente di nazioni, di lingue, di fede e di credenze diverse, in mezzo delle feste pagane cui assisteranno con avida curiosità, sentiranno la squilla della Chiesa di Maria che invita i fedeli ad intrecciare a piè della loro Regina la corona delle sue dolcissime rose, oh! chi sa se in quel punto al suono della campana, la Vergine sovrana degli Angeli, la Madre dei peccatori non pungerà a commozione, a pentimento ed a novella fede qualche cuore che giace sepolto sotto il peso della colpa o insozzato dalla melma dell’eresia!
La nostra preghiera di domani adunque si estenderà ancora per tutti i nostri simili, vicini e lontani che non amano Maria.
Quale sarà dunque il nostro apparecchio per la festa religiosa di domani? È l’ottava festa che l’Arcangelo tutelare della Chiesa del Signore annunzia al cielo ed alla terra.
Quel Principe degli angeli, che viene al soccorso del popolo di Dio, per otto volte in questa terra è stato anch’esso invocato benedetto e venerato, e su questa terra nella nuova Chiesa, si avrà anch’egli un altare ad onor suo dedicato.
Disse Dio al Real Profeta: “Dilata la tua bocca ed io la riempirò”. Dilatiamo dunque il nostro cuore alle più dolci speranze tutti quanti siamo, fratelli e sorelle del Rosario iscritti al Tempio di Pompei: E quanto più grande sarà la nostra fede e più vasta la nostra speranza, domani più e più grazie ciascun di noi otterrà.
Ne fa per noi valida sicurtà la clemenza di Maria, la potenza del suo Rosario, che per tutto questo mese non lasceranno mai di recitare nelle nostre famiglie, come non si lascerà in veruna ora del giorno nella cappella della prodigiosa Effige qui in questa Valle avventurata.
E questo fia il serto più bello di fiori che noi tutti figliuoli del Rosario deporremo ogni giorno ai piedi della nostra Regina in questo mese della centenaria della prima istituzione del Mese sacro alla regina dei fiori.
Animo dunque, e facciamo violenza al Cuor di nostra Madre, poiché è scritto “che il Paradiso si rapisce per forza”.       
Unanime adunque, sia la nostra orazione domani: conformi siano i nostri affetti a Maria. E la benedizione della Regina del Rosario, abbiam ferma fiducia, che pioverà in quell’ora sui ricchi e suoi poveri, sui Sacerdoti e suoi secolari, sui vergini e sui coniugati, sui giusti e suoi peccatori, i quali in Maria troveranno il loro sicuro rifugio e quella mano potente, che lo camperà dal peccato e dalla morte eterna.
(Da: Il Rosario e la Nuova Pompei del 1884)
“Giunse finalmente il giorno aspettato degli 8 di Maggio. Io avevo già avuto una formula della preghiera comune che doveva recitarsi nelle ore meridiane dagli ascritti alla Chiesa di Pompei. Mi levai secondo il consueto; tutti i fenomeni del morbo erano già cessati dal 30 Aprile, ma le forze muscolari di potermi da me sola liberamente muovere più non erano tornate. Seduta nella mia camera da letto, aspettavo l’ora che in Pompei si sarebbe recitata la devota supplica alla regina del Rosario, si sarebbe recitata la devota supplica alla regina del Rosario. Rivolta a mia sorella Concettina, dissi: “Stamane la Vergine certo mi fa qualche altra grazia, perché in questo giorno, ho letto, che sempre suole far grazie.
“Il tiro del cannone mi fece avvertita, che era l’ora del mezzodì aspettato, l’ora della preghiera da recitarsi alla vergine di Pompei.
Immediatamente mia sorella Concettina s’inginocchia ai piedi dell’effigie della Vergine di Pompei, innanzi a cui sin dal mattino ardevano le candele, ed insieme con una zia cominciammo tutti la supplica.
Detta la preghiera, esse uscirono rimanendo me sola nella mia stanza, seduta accanto al balcone. L’animo mio era pieno di speranza, seduta accanto al balcone. L’animo mio era pieno di speranza, la mia fede nelle promesse della SS. Vergine, che sarei uscita nel mese di Maggio, non venne mai meno. Volli provare se già aveva ottenuto la grazia promessa e desiderata.
“Ed oh meraviglia! Mi levai in piedi, e potetti star diritta da me sola. Volli provare se poteva camminare da me senza sostegno alcuno, e mi avvidi che mi era facile il camminare. I palpiti del cuore si facevano più violenti; la grazia era completa; la guarigione istantanea. L’animo mio era compreso da un sentimento indicibile di gratitudine e di gioia. All’istante mi risovvenni delle parole che la Madonna mi aveva detto: “La prima volta che camminerai, reciterai tre Ave in ginocchio dinanzi alla mia Immagine in ringraziamento. Ed io quei primi passi rivolti appunto verso il luogo ove era l’immagine della vergine di Pompei. E commossa sino alle lacrime mi prostrai in ginocchio, recitai le “Tre Ave” con molta compunzione, e quindi mi levai da me sola per far noto alla famiglia di aver ottenuto il compimento del miracolo.
“È impossibile descrivere l’impressione che ebbe mia madre e le mie sorelle e congiunti al vedere me, quando mi avevano lasciato seduta ed impotente nella camera dei miei dolori. Nel delirio della gioia e della strema commozione altro non ripetevano, che: “È un vero miracolo”. Io poi mi trovavo come fuori di me, non sapendo se era vero oppure no tutto quello che era avvenuto: non credevo a me stessa che pur camminavo senza appoggio di altri. E più volte camminai per le stanze come per accertarmi che io nulla più soffriva, e che le promesse di Maria si erano del tutto adempiute in quel giorno della sua festa nella Valle di Pompei. Da quell’ora camminai, e mi rimase sempre libero il camminare.
“Delle su esposte cose possono renderne testimonianza congiunti ed amici, il mio confessore S. E. Monsignor Nisio, ed il mio medico curante Professore Belmonte Vincenzo, non che persone tutte di mia famiglia.
“Oggi sono in grado di mostrare col fatto la potenza del miracolo, la grazia sperimentata dalla pietà di Maria. Quanto mi fu vaticinato, ottenni nell’ordine e nelle condizioni della promessa. Guarii senza che in me fosse rimasta traccia alcuna d’infermità, perché, animata dalla fede e dalla credenza, vidi in me perpetuarsi le mistiche glorie e i prodigi sorprendenti che opera la Regina dei Cieli.
“L’esposta narrazione è stata da me scritta il giorno dopo compiuto il miracolo, il 9 Maggio 1884”.
(Firmata) Fortunatina Agrelli Di Camillo

"Maggio 1885" L'Ora del Mondo

Presiede Sua Eminenza Mons. Giuseppe Formisano - Vescovo di Nola
Orario delle funzioni del dì 8 Maggio 1885
Ogni giorno in tutto il mese di Maggio avrà luogo la “Fermata in Valle di Pompei” del treno, che parte da Napoli alle ore 8,5 a.m.
È però anche il giorno 8 di maggio, tuttochè cada di venerdì, avrà eziandio luogo la detta fermata. Quindi tutti i signori pellegrini di Napoli, di Portici, di Torre del Greco e di Torre Annunziata potranno valersene.
Dalle 6 del mattino cominceranno le Messe sino all’una p.m.
Alle 9,30, cioè all’arrivo dei devoti pellegrini in Chiesa, s’intonerà il Rosario dal Direttore del Terz’Ordine P. Lettore Fra Vincenzo Guida dei Predicatori; ed alle ore 10 comincerà la Messa bassa della funzione con l’assistenza di S. E. Rever. Monsignor Formisano Vescovo di Nola.
Alle ore 10,30 il Rev. P. M. Fra Carlo Majello dei Predicatori, Penitenziere della Liberiana Basilica di S. Maria Maggiore in Roma, dirà breve discorso in apparecchio della solenne cerimonia.
Alle ore 11,30 avrà luogo la benedizione ed il collocamento della prima pietra dell’Altare e del trono di Maria per mano dello stesso Eccell. Monsignor Formisano Vescovo di Nola.
In ultimo, esposto alla pubblica venerazione il nostro divin Redentore in Sacramento, e resigli grazie infinite col canto dell’Inno della Chiesa, verrà unanimemente recitata la devota “Suppliva alla Regina delle Vittorie”.
E così ciascuno, benedetto largamente da Gesù, ritornerà lieto in seno alla propria famiglia con l’animo rincorato ancora dalla benedizione di Maria.
Dopo la funzione saranno anche celebrate due messe: l’una mezz’ora dopo mezzodì, e l’altra ad un’ora p.m.
(Da: Il Rosario e la Nuova Pompei del 1885)
*Gli 8 di Maggio del 1885 in Valle di Pompei
Indescrivibile è stato lo slancio della pietà e della fede di migliaia di Signori intervenuti in pio pellegrinaggio il giorno 8 Maggio per assistere alla commuovente funzione della prima Pietra, che dovrà servire di fondamento al Trono ed all’Altare della prodigiosa Regina delle Vittorie.
Fin dalle prime ore del mattino la chiesa era quasi piena di gente venuta da lontano: sicché per dal luogo al pio pellegrinaggio di mille Signori Napoletani, che giungevano con lunghissimo treno alle ore 9 in Valle di Pompei, fu giocoforza chiudere preventivamente la chiesa ed affidare al buon ordine delle guardie municipali di Torre Annunziata ed ai reali carabinieri di Pompei e di Scafati.
Ma non vi era bisogno né di guardie, né di carabinieri per ordinare quelle migliaia di gente e di vetture, poiché una ineffabile devozione ed una compostezza di modi ornava ogni persona che si appressava al Santuario. Anzi, possiamo osservare, senza tema di essere smentiti, che la festa di questo anno ha superato in edificazione ed in fervore di culto tutte le feste dei passati anni. Qualunque nostra parola a descriverla è sempre da meno della verità, e potrebbe sembrare esagerazione a chi mai non è intervenuto a qualche festa in questo nascente Santuario. E però altro non facciamo, che ripetere sempre, ed a tutti: chi non ha fede, venga alla chiesa di Pompei nel dì della sua festa, e vedrà e crederà.
E tutti in quel mattino ad una voce recitarono il Rosario di Maria, giunti che furono in chiesa. E tutti ad una voce risposero al Te Deum, poi che il santo Vescovo di Nola ebbe benedetta quella lapide di marmo, in cui era inciso il segno di Redenzione e la data per sempre memorabile: “8 Maggio 1885”.
Ma quando giunse il momento aspettato della comune preghiera da recitarsi ai piedi della Regina delle Vittorie, un santo entusiasmo prese l’animo di quanti erano affollati, genuflessi in questa chiesa. Ed invece di lasciare, come nelle altre volte, che il Sacerdote dal pergamo leggesse a nome di tutti la devota Supplica, in quell’ora solenne, non potendo più contenere un sovrabbondante impeto di affetti di tenerezza, di devozione, di amore a Maria, non appena intesero dal rev. P. Guida la prima parola della “Supplica”, che proruppero tutti in un grido di preghiera ed in lacrime di compunzione. Sicché furono visti uomini grandi per ufficio e per linguaggio, stretta in mano la cartolina della prece a Maria, versare cocenti lacrime in quel momento reso sublime dalla fede cattolica.
Ma non è questo tutto lo spettacolo di grandezza e di meraviglia. Ve n’è un altro più sublime e che forse molti ignorano; e si è che a quell’ora di mezzogiorno molti ignorano; e si è che a quell’ora di mezzogiorno dell’8 Maggio 1885 centinaia di migliaia di famiglie secolari e religiose, in Italia e fuori, erano prostrate innanzi ad una immagine della vergine del Rosario di Pompei, e tutti con una stessa fede, con una stessa parola innalzavano i loro sospiri alla potente Regina del Cielo. Questo è un vero trionfo della regina delle Vittorie, è il trionfo della fede in un’età miscredente: è il trionfo della preghiera in un secolo che non ha altra aspirazione se non dell’oro e dei cannoni. È l’unione dei cuori in un sol Cuore, che è quello della propria Madre, tipo di ogni bellezza e di ogni perfezione creata. Questo spettacolo così gradito al cuore di Maria, e che gli Angeli di Dio miravano con celeste sorriso, all’animo nostro si rivelava per migliaia di lettere che innanzi di cotal dì erano pervenute.
Dopo tutto questo, chi mai, amico o nemico che sia, non confesserà essere questa Opera di Pompei tutta fatta dalla virtù onnipotente di Dio per far risplendere la gloria e la potenza della Madre sua? Sì, questi fatti ci danno ancora fiducia che questo tempio, il quale sorge rimpetto alla pagana Pompei, segnerà l’epoca della restaurazione della fede cattolica in varie parti del mondo.
A rendere più sontuosa la funzione intervenne inaspettatamente il chiarissimo e santo Arcivescovo di Bari, Monsignor Pedicino, tenero amante e scrittore del Rosario di Maria. E celebrò la messa della funzione, assistendovi l’Ecc. Vescovo di Nola, Mons. Giuseppe Formisano.
È da confessare pure, che ad accompagnare la comune pietà in quel giorno, non ebbe piccola parte la scelta e devota musica diretta gratuitamente dal valente e pio Maestro Francesco Ruggi di Napoli, alla quale presero parte anche gentilmente e gratuitamente per esecuzione vocale i Signori Achille Coscia e Giovanni Pelusio ed il dilettante Pasquale Ippolito. E per la parte strumentale i Signori Cimmaruta, Riccio, Abruzzi, Caro. Una Salve Regina ed un Tantum ergo dello stesso Maestro Sig. Ruggi eseguiti dal Coscia e dal Pelusio con la più bella precisione, come sempre sogliono segnalarsi questi due artisti di canto, compirono la solenne funzione.
(Avv. Bartolo Longo)
Sunto del discorso recitato dal R. P. Lett. Fra Vincenzo Guida dei Predicatori
Nel dì 8 Maggio 1885 in Valle di Pompei
Iddio si servì sempre nel corso dei secoli di visibili monumenti, per innalzare lo spirito umano a pensieri sovrumani, e ridestare nei popoli la fede assopita, Tale la verga di Mosè, il serpente di bronzo, l’Arca del Santuario, il tempio di Salomone, la Basilica del Vaticano ed altri molti. E questo spettacolo della divina Provvidenza si rinnova oggi più che mai. Questo nuovo spettacolo è sotto i vostri occhi, o Signori, cioè dire questo tempio magnifico che rifulge per loro e per la finezza dell’arte cristiana, o questa immagine del Rosario, che risplende per prodigi e per grazie senza numero.
Si, tutto questo magnifico tempio è opera di Provvidenza ed è opera vostra, o Signori.
Oggi sono nove anni qui non era che solitaria campagna. Un drappello di anime elette del mio Terz’Ordine qui, su questa terra nuda, in questa aperta campagna, faceva devoto corteggio ad un Porporato di S. Chiesa, che incideva nel nome di Dio il segno vittorioso della Croce su di una pietra, e quella pietra era il primo ed essenziale fondamento della Casa del Signore, che da quel giorno doveva cominciarsi ad erigere.
Due lustri ancora non sono passati da quel giorno. E voi stessi, e parte di voi forse che si trovò qui in quel giorno memorabile degli 8 di maggio del 1876, vedete con immensa soddisfazione il frutto della vostra carità, della vostra fede. E lo stesso principe di Santa Chiesa, che in questo luogo benedisse la prima pietra del Tempio agli 8 Maggio del 1875, è lo stesso che oggi in questo luogo si trova in mezzo di voi per porre la prima pietra del Trono e dell’Altare della Regina delle Vittorie.
Opera di fede è la vostra, o Signori. Non vi contentate di erigere così vasto Tempio; ma volete renderlo ricco del vostro oro per renderlo meno indegno della Regina del Cielo.
A torto si accusa il Cattolicesimo di oscurantismo e di regresso, nemico delle scienze e delle arti. Basterebbe a smentire l’accusa questo Tempio che voi innalzate. Il genio del Cristianesimo, che è per sé ispiratore di cose e di arti belle, qui sovraneggia in ogni singola parte, e fa degna gara co’ monumenti dell’arte antica, che signoreggiano la vetusta e distrutta Pompei.
Due concetti, o Signori, oggi mi si presentano chiari alla mente alla vista di questi archi magnifici, di tanto oro profuso, di tante stupende pitture: la fede cattolica ispiratrice e fecondatrice di bellezze artistiche, e la misericordia di Maria fecondatrice di beni e di grazie celesti su tutti i figli che le edificano questo Tempio.
Ovunque volgiamo lo sguardo, siamo testimoni della potenza di Dio: e l’epoca nostra ben si può dire l’epoca, che sconoscendo Dio, ne confessa la potenza. Tremuoti, inondazioni, scomparse di città, epidemie devastatrici, valanghe di neve che danno sepoltura agli uomini, guerre e suicidi, guerre tra nazioni e malattie d’ogni genere, che vanno decimando insensibilmente l’umana famiglia, tutto dimostra la potenza di Dio, che può in un solo istante distruggere la fattura delle sue mani, l’uomo, con un solo soffio della giusta ira sua.
Ma in questo luogo di Pompei non è la potenza di Dio che si manifesta, è la misericordia. E questa misericordia viene fatta alle famiglie degli uomini per mano di Colei, che è lieta di essere chiamata la Madre della Misericordia.
E quanti di voi non hanno provato gli effetti della materna misericordia di Maria?
E quanti di voi non sono venuti in questo luogo a ringraziarla della potenza, che Ella ha mostrato a pro vostro?
E quanti di voi non siete qui raccolti in questa mattina con l’animo pieno di fede di conseguire in questo giorno, di qua ad un’ora altra, le grazie che tanto ardentemente avete chiesto?
Oh, sì, sperate, che è la speranza che posa in Maria, di certo non fallirà. Di qua ad un’ora Essa da quel Trono di clemenza vedrà il Figliol suo prediletto, il Santo Vescovo di Nola, che collocherà quella prima pietra del suo Altare e del Trono, donde Essa, come a regina universale, diffonderà su tutte le vostre famiglie i salutari effetti di sua celeste benedizione.
E tutt’insieme qui pregheremo questa mattina, affinché su di tutti Essa spanda i tesori del suo amore materno. Oggi è il giorno ricordevole dei suoi trionfi su questa pagana terra di Pompei. Ed in questo giorno, ah, Ella non sa negar le grazie a veruno. Ricordiamoci quanti nel passato anno piangenti stesero le loro mani supplichevoli ad implorare misericordia, e poi lieti ritornarono a rendere pubbliche grazie alla generosa Donatrice. Ricordatevi segnatamente che, oggi è un anno, a quest’ora tre persone afflitte ed inferme riebbero generosamente da Maria la santità. Nella medesima ora che qui noi unanimi pregavamo, in una cella del monastero delle Carmelitane Scalze di Modena, in una camera della villa Scocchera in Portici, e in una stanza del palazzo Rocco, in via Settembrini, in Napoli, la nostra Augusta Regina del Rosario, faceva splendida mostra della sua potenza e della sua misericordia. La Contessa Bentivoglio di Modena, oggi Suor Teresa Margherita del SS. Sacramento la signorina Maria Rogondini e la signorina Fortunatina Agrelli qui presenti, sono tre documenti vivi della misericordia di Maria e dell’amore, che Ella porta tutti quelli che Le edificano questo Tempio.
Ma oggi una più grande fede deve sorgere in voi; voi concorderete ad innalzare quel Trono, dal quale la Regina del Rosario dovrà trionfare su tutti i cuori dei peccatori. Questa prima pietra dell’Altare di Maria formerà il primo scalino della mistica scala che deve condurvi al Cielo. Sì, questa pietra di marmo raffigurata dai sassi di Betel, che furono al dormiente figlio di Isacco di origliere nel suo viaggio di Aran quando ebbe la celeste visione di Mesopotamia, come è scritto nella Genesi; questa pietra di marmo venne simboleggiata dalle 12 smisurate lapidi, che tolte dall’aneroso seno del Giordano, vedevansi torreggiare sulle altare del Golgota, come insigne testimone a tutto Israele, che Dio aveva fatto camminare per quel fiume a piede asciutto come si legge in Giosuè. Questa pietra ricorda il masso enorme che alzò in Masfa Samuello, cui intitolò “Pietra d’aiuto” per rammentare la sconfitta di Filistri, come si riscontra nel libro dei Re.
Ed ora che il Sacro Unto del Signore pone quella pietra benedetta, sollevate i vostri occhi e i vostri cuori a Maria, e pregatela con le lacrime, che per amore di questa chiesa, a Lei tanto diletta, per memoria di questo giorno solenne in cui incominciamo ad innalzarle un Trono, Ella faccia salvi i corpi e le anime vostre, dei vostri figli, dei vostri genitori, dei vostri fratelli, delle vostre sorelle, dei vostri amici e dei nemici ancora; salvi i giovani incauti o traviati, salvi l’Italia nostra, che è la terra del Papato; salvi la navicella della Chiesa sbattuta da fiere e tempestose onde, e faccia ad ognuno di voi vedere il sorriso dei giorni più lieti, acciocchè tutti abbracciati in santa e fratellevole carità, dimessi gli odi e i rancori di parte, tutti ai piedi di Lei cantino l’inno del ringraziamento e dell’angelico saluto.
Sì, o Maria, tutte a Te prostrate dinanzi vengono le umane generazioni. E Tu rimira in questo momento quasi tuoi figli, che qui ai piedi tuoi implorano le tue grazie. Tu non puoi discacciarli: essi Ti hanno eretto questo Tempio. Essi oggi incominceranno quell’Altare dove il benedetto frutto del Tuo seno verrà ogni giorno offerto vittima di propiziazione all’Eterno per i peccati del popolo.
Essi oggi incominciano il Tuo Trono, dove Tu ogni giorno allargherai lre braccia della tua materna misericordia, e renderai felici del Tuo celeste sorriso tante anime afflitte che a te fedeli ricorreranno.
O Maria, benedici questo Tuo Vescovo – benedici questo Tuo popolo – benedici questi figli del mio Terz’Ordine, che Ti hanno consacrato le sostanze e la vita – benedici anche il mio Ordine, che è l’Ordine Tuo, a cui Tu desti il Rosario, benedici tutti i tuoi figli che generosi a te dirizzano con l’obolo della loro carità i sospiri dei loro cuori. Benedici chi protegge questa tua chiesa, tutti quei che concorrono a fare più splendido il tuo Trono.
E fa che quanti sono iscritti ai piedi tuoi in terra, siano scritti nel libro della vita in cielo. Amen.

"Ottobre 1885" L'Ora del Mondo

Il Mese di Ottobre sacro al SS. Rosario per un nuovo Decreto del Vaticano
L’Eccellenza reverendissima del nostro carissimo Monsignore Fra Vincenzo Leone Sallua, Arcivescovo di Calcedonia, Commissario Generale della Suprema ed ornamento dell’Ordine dei Predicatori, ci manda da Roma un Decreto del Vaticano “Urbis et Orbis” dei 20 di Agosto 1885, con il quale il Santo Padre vuole consacrato, anche in quest’anno e negli anni successivi, il mese di Ottobre a Maria Santissima del Santo Rosario. È la terza volta in tre anni consecutivi che il sapientissimo nostro Pontefice inculca a tutto il popolo cristiano la bella ed efficace devozione del Santo Rosario.
Tutti ricordano la celebre Enciclica “Supremi Apostolatus” del 1° Settembre del 1883, e l’altra dei 30 Agosto 1884 “Superiore Anno”.
Oggi Sua Santità, dice il Decreto, che ora riferiremo nel testo originale latino, comanda, che ogni anno, dal primo giorno di Ottobre al secondo del successivo Novembre, in tutte le parrocchie dell’Orbe cattolico e in tutti i pubblici Oratori dedicati alla Madre di Dio e in altri da scegliersi all’arbitrio dell’Ordinario, ogni giorno si recitino almeno cinque decine del Rosario di Maria Santissima con le litanie Lauretane.
Che se la funzione avrà luogo al mattino, nel tempo della preghiera si celebri la messa; se nel pomeriggio, si esponga all’adorazione il sacrosanto Sacramento dell’Eucaristia, e, secondo il rito, si dia ai fedeli la benedizione.
Desidera ancora Sua Santità che da tutte le Confraternite del Rosario si facciano pubbliche e religiose processioni quando lo permettano le leggi civili. Ed inoltre al rinnovare tutte e singole le indulgenze le indulgenze altre volte concesse, ne aggiunge nuove per coloro che interverranno alla recita del santo Rosario, pregando secondo l’intenzione del regnante Pontefice, come meglio apparirà dal testo del Decreto: cioè 7 anni d’Indulgenza ogni giorno, ed una volta l’Indulgenza plenaria.
Lo stesso prelodato Monsignor Sallua scriveva in una lettera all’Ill. Direttore dell’Unità Cattolica di Torino queste nobili parole: “Cotesto Decreto del Sapientissimo nostro Pontefice Leone XIII è un nuovo pegno di un migliore avvenire alla Chiesa ed alla società. La Regina delle Vittorie, Maria Santissima, col suo Rosario ravviva la Fede, ricompone il costume, ridona la pace che recò Gesù Cristo.
Il Santo Padre, con tale perseverante volontà all’inculcare sì potente e perfetta divozione, impegna l’Immacolata presso la Santissima Trinità”. E Monsignor Sallua, arcivescovo di Calcedonia, vuol essere tra i primi Vescovi e Pastori a rendere grazie al glorioso Pontefice Leone XIII, sommo propagatore del Santissimo Rosario; ed invita tutti i Vescovi e Pastori dell’Orbe cattolico ad esprimere al Santo Padre in modi riconoscenti il loro grato animo per avere voluto per tre anni consecutivi scegliere il Rosario a preghiera universale della Chiesa.

"Maggio 1886" L'Ora del Mondo

Presiede Sua Eminenza Mons. Giuseppe Formisano - Vescovo di Nola
Il primo decennio dalle fondazioni di questo Santuario
Un’altra luna ancora veleggerà per le azzurre volte del firmamento, e pioverà i suoi pallidi raggi sulle scoperchiate tombe della pagana Pompei; e due lustri saranno compiuti dalle origini di questa novella. Arca di Alleanza, che sorge solitaria e benefica in questa Valle della Nuova Pompei e ricongiungere di santo amore la terra e il cielo.
Oh! chi non ricorda con immenso palpito l’umile cominciamento di così gigantesca impresa, che sarebbe stata follia solo immaginare?
Era il mattino degli otto di Maggio del 1876, sacro all’apparizione del Principe degli Angeli S. Michele, ed il venerando Pastore della Chiesa di Nola, il pio, quanto dotto, Mons. D. Giuseppe Formisano, accompagnato dal suo Vicario, da Canonici e dal rinomato oratore Can. Primicerio D. Paolino Autiello, Curato di Marigliano, veniva all’erma Valle di Pompei a consacrare la prima pietra di una nuova chiesa.
Era il cominciamento della prima chiesa, che dal tempo del cristianesimo un qua sarebbe per sorgere dedicata alla Gran Madre di Dio sulla terra de’ gentili.
Sotto d’una tenda rizzata nell’aperta campagna sulle morbide zolle rivestite di fieno e di lupino, veniva sospesa una vecchia effigie della Regina del Rosario del valore di poco più di tre lire, rafforzata alla meglio. E sopra di due botti vuote, disteso due assi, vi veniva collocata la santa pietra, su cui si offriva a Dio il sacrificio della Pasqua Novella. Qui si compivano i più belli e teneri misteri della Chiesa Cattolica, E in quel giorno qui discese per la prima volta il Signore a rendere sacro il suolo profanato dalle ossa di antichi pagani.
O ineffabile prodigio della onnipotenza di Maria! Oggi, nel volgere del promo decennio, chi visita questo luogo più non riconosce le umili origini di quest’opera di fede e di amore.
Quella effigie così dispregevole agli occhi degli artisti, oggi è il centro di tutti gli affetti di centinaia di migliaia di credenti. Quell’arido campo è diventato un oasi fioritissimo di fiori di virtù e insieme di pietà.
Tornerò negli otto di Maggio 1886, sì, tornerà per comune letizia, quello stesso venerando Vescovo di Nola che benedisse l’iniziamento della Chiesa di Maria; e tornerà ancora nel dì 8 del prossimo Maggio quello stesso antico oratore Autiello, che negli otto di Maggio, or fa dieci anni, con il suono della sua voce eloquente ruppe il monotono silenzio che regnava da secoli in questa valle; ma torneranno per rendere a Dio il tributo dell’onore e dell’adorazione, per cantare a Lui l’inno di lode e di ringraziamento.
Torneranno ancora, e ne abbiamo certezza, tutte quelle famiglie privilegiate che ebbero la sorte di accedere la prima volta qui negli 8 di Maggio del 1876.
Quali saranno i sentimenti di tutti costoro? Quali saranno i sentimenti di quell’insigne creatore a questo spettacolo, nuovo per lui, che dieci anni or sono in questo luogo predicò all’aperta campagna dinanzi a poveri contadini, confortando tutti alla impressa novella di un tempio che i nostri posteri a malapena avrebbero veduto compiuto; ed oggi, dopo sì breve spazio, predicherà sotto le arcate volte di un tempio maestoso, che in parte già brilla del massimo sfoggio dell’arte cristiana e dell’oro profuso in omaggio del Creatore del tutto?!
Ma quali saranno i sentimenti vostri, o fratelli e sorelle del Rosario, quando verrete qui a prostarvi ai piedi del soglio della nostra Regina, per chi interceder grazie e chi testimoniare gratitudine per quelle conseguite?
Forse i nostri nipoti celebreranno il Primo Centenario. Forsa parecchi di loro otterranno anch’essi celesti favori dalla nostra benigna Regina, e nulla di noi, che festeggeremo il primo decennio, resterà privo delle misericordie di Maria? Ah no! Noi tutti attesteremo al mondo che una colluvie di grazie e di misericordie ai tempi nostri ha riversato dal Cielo Colei che è una bellezza di Dio, il Fonte Sigillato e la Speranza unica dei peccatori. Noi stessi, che abbiamo posto ciascuno una pietra per il suo Santuario e per il suo Trono, siamo stati arricchiti delle sue ricchezze, allietati delle sue grazie, invaghiti della sua bellezza.
Oh che sarà il mezzodì dell’otto di Maggio 1886 nell’istante della comune preghiera, della devota Supplica, quando da tutte le parti del mondo si eleveranno alla Regina di Pompei migliaia e migliaia di voci disperse e nei Santuari e negli abituri e nelle città e nelle ville?
Dilatiamo il nostro cuore alle più dolci speranze. Abbiamo certa fidanza: se sapremo pregarla. Tutti saremo esauditi.
E per tanto sospiri il nostro cuore le grazie più copiose pel giorno anniversario delle prime fondazioni del tempio di Maria; che è Maria stessa ci dà ragione di così bene sperare.
Gli 8 di Maggio del 1884 è ricordevole nella storia dei suoi prodigi per Fortunatina Agrelli, per Maria Rogondini e per la Contessa Bentivoglio di Modena. Gli otto di Maggio 1885 è memorabile per il gran prodigio operato dalla Regina di Pompei a Suor Maria Corradi là nel Collegio delle Dorotee di Genova. E gli otto di Maggio del 1886 sarà giorno immensamente glorioso per tutti noi che con viva fede aspettiamo i prodigi della Mistica Rosa del Signore, che è meridiana face di caritade e fontana vivace di speranza, la quale … molte fiate Liberamente al dimandar precorre.
(Avv. Bartolo Longo)
*Le vette del Gauro e la Valle di Pompei nel mattino degli 8 di Maggio del 1886
E tornò a noi per la decima volta quel giorno avventuroso designato da Dio al trionfo della misericordia di Maria verso i poveri pellegrinanti della valle di esilio! Per la decima volta spuntava l’alba santa degli 8 di Maggio indorando dei primi raggi del sole il cratere del Vesuvio e le vette più alte del monte Gauro, che a questo Santuario si eleva di rincontro.
Sulla più alta delle tre vette, che sormontano questo monte Gauro, apparve un giorno S. Michele Arcangelo al Vescovo di Castellammare, S. Catello, che orava tra quei dirupi con S. Antonino Abbate di Sorrento, e gli imponeva che là innalzasse un tempio in onore del Principe degli Angeli.
E noi, che questa venerata istoria apprendemmo al primo porre il piede in questa terra di Pompei, disponemmo al tutto in cuor nostro, illuminati dalla grazia, che anche in questa Valle noi avremmo un dì innalzato un altare al Duce Maggiore di tutte le Gerarchie angeliche. La ragione occulta di tanto nostro ardore verso il glorioso S. Michele un giorno forse riveleremo ai nostri buoni fratelli, se il Signore vorrà che noi scriviamo per loro bene alcune pagine di terrore.
E quando nel 1874 il Vescovo di Nola pose a nostra scelta il giorno in cui consacrare la prima pietra di fondamento a questo Santuario di Maria, noi senza esitanza chiedemmo che codesto giorno faustissimo delle misericordie del Signore e del primo possesso della Regina delle Vittorie sulla terra degli idoli e dei demoni dovesse essere il giorno consacrato al culto del Duce delle milizie celesti.
L’alba dunque degli 8 di Maggio sorgeva a salutare il primo decennio dei portenti della Regina del Rosario in Pompei, ed al nostro spirito, che era stato alquanto oppresso per la pioggia che il giorno innanzi fino alla notte aveva minacciato d’impedire la festa della cotanta Regina, arrecava una soave allegrezza, perché faceva rivivere queste verdeggianti campagne, rischiarando dolcemente il cielo divenuto di repente lucido e sereno, come volesse con i suoi incantevoli raggi trarre ai piedi della bella Regina di Pompei gli amanti suoi adoratori.
Ed in quell’ora soave noi ripensammo che giorno di più sublimi trionfi non sarebbe mai spuntato alle umane generazioni.
Quel giorno infatti ricordava due solenni epifanie.
Il maggior Principe del Cielo si manifestava alla terra, scegliendo a teatro dei suoi prodigi la vetta di un monte; la più grande Regina che mai abbia avuto e cielo e terra si manifestava ai piangenti figliuoli di Eva scegliendo a teatro dei suoi portenti l’umile valle di una sepolta città pagana: Segnava dunque quel giorno due solenni trionfi: trionfi di più maestoso Spirito del Cielo, di quel bellissimo e fortissimo Principe che con l’invitta spada della sua fede e della sua umiltà e della sua mansuetudine soggiogò Lucifero e tutti gli angeli ribelli, e già come folgori precipitava nell’abisso; trionfi della Regina del cielo e della terra, di Colei che ha ricolmato i vuoti seggi celesti con l’essere madre della umanità decaduta, redenta da proprio figliuolo Dio.
Alla spa sfolgorante di quel terribile Principe erano sospesi tutti gli allori còlti in Paradiso. Alla soave Corona che porge con la sua mano la regina delle Vittorie erano inseriti i trofei delle sue graziose conquiste, incatenati ai suoi piedi i leoni le tigri i leopardi, i peccatori più ostinati tirati all’amo di questa calamita dei cuori.
Ci ricordammo che l’uno, Michele, ha un nome ammirabile; è chiamato da Isaia il fiato ed il respiro di Dio, la forza delle labbra e della bocca di Dio; e da San Paolo viene ancora appellato l’alito della bocca di Gesù. L’altra ha nome più meraviglioso di Mare, Signora di luce, dominatrice, Dio con lei; e da S. Agostino, dai Padri, dalla Scrittura, dalla Chiesa tutta è invocata: la bellezza di Dio, la faccia di Dio, il Paradiso di Dio, la Madre del proprio Fattore, il Sole di luce abbagliante in cui l’Eterno pose il suo tabernacolo; l’Arca della santificazione che in sé contiene il Santo dei Santi. Essa è la Regina degli Angeli, di quei raggianti spiriti che, più numerosi dei granelli di sabbia del mare, eruppero dal nulla in cateratte di luce per adornare come altrettanti mondi di fulgori intellettuali l’immensa luce del Trono dell’Altissimo.
Però Michele stesso, che è pure chiamato da Daniele il Principe grande, il Principe tra i primi Principi, non è altro che Ministro della nostra Regina, della nostra tenera Madre, della cara signora di Pompei, che noi tanto amiamo, e tanto siamo amati da lei.
E questo pensiero, o fratelli, ci inteneriva per modo, che anche ora che scriviamo queste pagine ci richiama involontarie lacrime sul ciglio.
Sì: Michele, il Principe de’ Principi celesti è il ministro deputato da Dio a spargere le grazie a tutti i devoti della Vergine di Pompei.
E adesso che veglia ai destini di questo Santuario, che ne rimuove gli ostacoli, che conquista i nemici visibili e invisibili: il suo piede, veloce come folgore, trapassa i monti, valica gli oceani e sparge la soave fragranza delle rose di Maria fin dentro i più meschini casolari o nelle estreme plaghe dell’America, dovunque si ritrovino i figli del Rosario di Pompi.
È desso che con il suo invincibile zelo accende i cuori alla devozione verso la nostra cara Madre e li sospinge con il vivo desiderio di volare ai piedi di questa venerata Immagine.
È adesso che nell’ora solenne del mezzodì delle feste raccoglie concordi da diverse parti del mondo tutti i figli di questa Chiesa nascente, a porgere alla loro Madre pietosa le suppliche dei loro cuori.
O bellissimo Spirito, o potentissimo guerriero di Dio, Michele, noi con la più viva emozione del cuore ti rendiamo grazie, che di tanto tuo amore e di tanta tua protezione tu ci fai degni. Per te noi vediamo lo spettacolo di tante moltitudini di lontani lidi prostrarsi ogni giorno ai piedi di questa bella Sovrana. Per te sentiamo levarsi ovunque grida di preghiere ed inni di ringraziamento che si sciolgono ogni giorno in onore di questa Madre. Tu, sapientissimo Consigliere, da quella vetta del monte Gauro, dove a noi appare signoreggiare l’universo, guida i nostri passi alla maggior gloria della tua e della nostra Regina. Veglia geloso Custode il cammino di tutti i figli del Rosario di Pompei. E nell’ora di morte ottiene a noi tutti la finale vittoria contro i più formidabili assalti dell’infernale dragone; e tu stesso, amatissimo Padre, ne conduci innanzi al Trono stellato della nostra bella Regina, in quel soggiorno beato ove il gioire s’insempra, ove il giorno mai non annotta, e dove sempre regna purissima
“Luce intellettual piena d’amore” (Parad.)
Avventurati Voi, o fratelli e sorelle, che docili ai lumi e al movimento che Michele dava al vostro spirito, veniste di persona ad onorar la nostra Regina nel giorno e nel luogo dei suoi trionfi in Pompei. Parlate voi ai fratelli ed alle sorelle lontani che non ebbero la vostra sorte. Dite loro quali furono i sentimenti, le strette del cuore, lo scorrere tacito di una lacrima che brillò sui vostri occhi quando, giunto appena il treno che vi recava alla Valle di Maria, udiste dal vicino Santuario la voce sonora e solenne della campana del Rosario, che echeggiando in queste silenziose campagne, e ripercuotendo le sue sonore onde per i solitari abituri dell’abbattuta città degli idoli, vi disponeva alle ineffabili consolazioni che Maria tiene riserbate a chiunque la visita nel giorno delle sue feste.
Dite pure quanti pianti di tenerezza, quante idee, quanti affetti non rifluirono nell’animo vostro in quei beati momenti, quando, con il cuore computo di commozione e di meraviglia, varcaste la soglia di questa Chiesa che l’amore universale degli uomini vuole rendere un seggio di oro alla regina del Rosario; quando assisteste con lacrime alla tenera funzione del nuovo tempio, reso venerando ed augusto dalla presenza della Effigie affascinante, cui dinanzi ardevano votive candele,
Non è vero, o fratelli e sorelle dilettissimi, che qui in Pompei il sentimento della fratellanza umana ci si appalesa gigante, perché tutti ci riconosciamo figli della comune Madre Regina del Rosario? E tutti bisognevoli di grazie, e tutti supplicanti a quel Trono? Non è vero che qui ci sentiamo ancora tutti di una famiglia, perché tutti accesi di zelo, di amore, di riconoscenza per questa comune Madre amatissima? Non è egli vero che nessuna gioia umana può dare quello ineffabile contento che qui ricerca i nostri cuori nel trovarci alla presenza di questa Madre divina? Pare che da quegli occhi angelici portano scintille di luce e di amore che a sé traggono gli occhi dei risguardanti.
Oh come quell’occhio materno soavemente si posa sui figli preganti! Pare ne raccolga i sospiri, e i teneri sguardi e le segrete parole rivelanti segreti dolori. Oh sì: i segreti dolori, e gli affanni, e le cagioni degli affanni oggi moltiplicati a dismisura?
Ecco, il Sacerdote di Dio si avanza, viene innanzi il ministro del Signore a rinnovare sull’Altare il Sacrificio di Sangue dell’Uomo-Dio: tutti sono pronti: ed al lato dell’Altare, tutto chino e riverente è il venerando Pastore di questo gregge. Il sommesso mormorare delle preci, i compressi gemiti nei cuori riboccanti di amore, il fumo dell’incenso che dai turiboli si spande per l’aria e la luce scintillante dei ceri, forma una arcana armonia, un arcano concento che arieggia di lontano i sovrumani gaudi del Paradiso! Oh! sì, tutto, tutto qui è bello, tutto è addolcito dal pietoso sguardo di Maria; ed ogni festa che qui accade ha sempre l’impronta della novità e della bellezza.
Oh giorno memorabile! Oh momenti solenni di quell’ora del mezzodì, in cui migliaia e migliaia di voci vicine e lontane si elevavano di unanime accordo a supplicare tra i singulti la regina di Pompei! Impressioni idelebili dalla memoria e dal cuore!
“Prima divelte in mar precipitando
Spente nell’imo strideran le stelle,
che tal memoria in me scompaia o scemi.
Avv. Bartolo Longo
Nella facciuola del Supplemento del quaderno di questo medesimo mese ci veniva detto quanto segue, ed oggi lo ripetiamo per comune notizia.
“Il prefetto di Salerno riuniva il consiglio sanitario Provinciale, che urgentemente deliberò sospendere le processioni, le feste, il pellegrinaggio etc.
 à, che siamo adusati a forti e perpetue contraddizioni, massime quando ci apparecchiamo a qualche solennità o nuova opera in Pompei, non pareva vero di essere già pervenuti alla festa delle feste, cioè a porre in trono la nostra Regina delle Vittorie, senza che si fossero sconvolti tutti gli spiriti dell’ira, della terra e dell’inferno: uragani, fulmini, terremoti, colera, calamità nuove che stordiscono gli animi anche più robusti.
“Per il che tutte le grandi feste da noi vagheggiate per il corso di 10 anni. E già prenunziate ed ordinate in nostra mente per il prossimo Ottobre, tanto per la inaugurazione dell’Asilo infantile, quanto per la consacrazione dell’Altare della Vergine ed elevazione al trono della prodigiosa Immagine, vengano differite infino a nuove disposizioni del Cielo.
Ma se sono proibiti, e con molta ragione, i pellegrinaggi, le feste e le processioni; nessuno impedirà certamente al cuore ed alla bocca di ciascuno di noi di sospirare e di pregare. Anzi sorge maggiore la necessità in ciascuno di noi, che nel segreto delle pareti domestiche e nell’interiore dello spirito disposto a compunzione, preghiamo e scongiuriamo con lacrime la divina clemenza a farci misericordia.
E però fin da ora fermiamo, che qualunque sarà per essere lo stato sanitario delle città e delle provincie d’Italia nel mese di Ottobre, il giorno tre, prima Domenica di quel mese, in cui cade la grande solennità del SS. Rosario, non lasceremo di adempiere gli obblighi nostri, cioè di far celebrare le Sette Messe all’Altare della prodigiosa Vergine per tutti i nostri associati, di compiere le solite devozioni, secondo il consueto degli altri anni, e nell’ora di mezzodì recitare la devota Supplica alla regina delle Vittorie.
Alle quali funzioni ogni scritto potrà prendere parte, da lontano, unendosi con noi nello spirito e nella intenzione, massime nella uniforme preghiera al suono dell’Angelus nei mezzodì.
In quel mattino adunque ricordevole e solenne della prima Domenica di Ottobre, ci prostreremo ai piedi dell’Altare della nostra Regina, e con grida del cuore, con gemiti dell’anima afflitta e cruciata per tanta calamità che ci costringono intorno, grideremo al Signore: Misericordia! Pregheremo per noi, pregheremo per voi, o fratelli lontani: e voi pure pregherete con noi e per noi.
E così sarà in quel giorno grande festa in cielo, e grandi grazie proveranno sulla terra ai predestinati figlioli della Vergine di Pompei.
Raffermiamo oggi quel che annunziammo allora: cioè, che nel giorno della grande festa della nostra Regina, la quale quest’anno ricorre il 3 del mese, all’ora di mezzogiorno, nella pienezza della luce della luce che inonda l’universo, noi esortiamo nuovamente, come in tutti gli altri anni, di rivolgere a questa amorosissima Regina delle vittorie la supplica da noi più volte proposta per quell’ora.
Forziamola a concederci grazie, e non si dubiti che non resteremo con le mani vuote. Sarà un coro di preghiera che, risuonando da tutte le parti della terra, echeggerà nei cieli armoniosamente, e sarà ripetuto dalle schiere degli angeli, dei santi, dei profeti che già l’avevano celebrata terribilis ut castrorum acies ordinata. Ella, vinta dal nostro ossequio e dal nostro amore, aprirà tutti i tesori delle sue grazie, e nessuno dei figli suoi l’avrà invocata invano.
(Autore: Bartolo Longo)
*Le indulgenze Plenarie Toties-quoties nel 3 di Ottobre 1886
La Chiesa apre anch’essa a pro dei fedeli tutti i tesori delle indulgenze per ottenere il perdono delle nostre colpe, e ci dà le seguenti norme per guadagnarle.
Ogni fedele, anche non ascritto alla Confraternita del Rosario, deve:
Fare la confessione sacramentale, ancorchè sappia di non aver commesso colpa mortale: non vi è però necessità di ricevere l’assoluzione. La confessione può farsi anche la vigilia della festa.
Possono tralasciare la confessione tutti coloro che hanno il costume di confessarsi ogni settimana.
La santa comunione, che può farsi anche la vigilia ed in qualunque chiesa.
Per ogni indulgenza plenaria che si vuole lucrare si deve fare una visita alla Cappella o Statua del Rosario (che comunemente si suole esporre fuori di detta Cappella); ma solo in quelle chiese dove è canonicamente erettala confraternita. Si fa eccezione per le Religiose di clausura ascritta al Rosario, che possono visitare la loro Chiesa o Cappella; e per i fedeli d’ambo i sessi (purché parimenti ascritti al Rosario) che convivono nei collegi, seminari e conservatori, od appartengono qualche società cattolica; i quali possono lucrare le indulgenze visitando la loro propria Cappella od Oratorio.
Queste visite possono incominciarsi dai primi vespri sino al crepuscolo del giorno della festa. Si deve pregare vocalmente secondo l’intenzione del Papa che ha concesso l’Indulgenza. Sei o sette Pater, Ave e Gloria sono sufficienti; ovvero altre orazioni equivalenti, ma che non siano obbligatorie.
Chi, terminata una visita, volesse incominciare un’altra, esca di chiesa e rientri.
Le indulgenze possono applicarsi per modo di suffragio alle anime del Purgatorio, e l’applicazione può farsi ad una o più anime determinate, ovvero in genere a favore di tutte.
In quelle chiese, ove per giusti motivi la solennità e festa esterna del Rosario è trasferita ad altro giorno, anche le indulgenze sono trasferite.
Oltre della Indulgenza plenaria “toties quoties” concessa da S. Pio V con la Bolla: “Salvatoris, a tutti e singoli fedeli di ambo i sessi veramente pentiti, confessati e comunicati, i quali nel giorno della festa della B. V. del Rosario, da celebrarsi perpetuamente per l’avvenire in memoria della detta vittoria (Lepanto) e ad onore della B. V., visiteranno devotamente la Cappella della Confraternita dai primi vespri della vigilia fino al tramonto del sole del giorno della festa inelusivo, ed ivi in memoria dell’anzidetta vittoria, offriranno a Dio pie preghiere per l’esaltazione della fede cattolica e l’estirpazione dell’eresie; quest’anno abbiamo dappiù il raro e sommo benefizio del Giubileo, concesso dal regnante Pontefice Leone XIII.
“In quel tempo sì propizio (Egli dice) si volgano i fedeli alla Regina del cielo, e con ossequi di speciale devozione s’ingegnino di conciliarsene la benevolenza, di meritarne il favore. Imperocchè (soggiunge il S. P.) al patrocinio della Vergine SS. del Rosario Noi vogliamo affidato questo sacro Giubileo; e tanta è la fiducia nostra nel suo potentissimo aiuto, da farci augurare non solo frutti copiosi di penitenza, ma, con un rinnovamento di fede e di pietà cristiana, tempi migliori”.
Oh quando spunterà quel giorno, che messi giù i rancori di parte, e deposti gli odii di religione, tutti riconciliati con Dio, potremo abbracciarci fratelli dal Vesuvio all’Etna, dalle Alpi al Lilibeo?
Presiede Sua Eminenza Cardinale Monaco La Valletta
La Supplica nel mezzodì degli 8 di Maggio 1887
L’aurora del giorno 8 Maggio non è lontana, e spunterà lieta di luce celestiale. Il sospiro di tre lustri, il voto di tanti cuori, in quel fausto giorno avrà il suo adempimento. La regina delle Vittorie in Valle di Pompei si assiderà sul trono erettole da migliaia di figli fra le glorie ed i trionfi di continue battaglie.
Noi sperimentammo in modo particolare ed evidente che quest’Opera, la quale la quale si costituiva in una deserta campagna tra Stabia ed il Vesuvio, doveva avere qualche cosa di straordinario e di soprannaturale, le cui vie tracciate dalla Provvidenza di Dio abbiam seguito con cuore fidente.
Chi è devoto della Madonna deve seguire le sue orme, e le sue orme sono quelle del Calvario. E, per grazia di Dio, amarezze e contraddizioni non sono mancate; ma oggi tutte le amarezze sono finite, tutto il passato è sparito innanzi a noi; e non ci resta altro, che la consolazione di aspettare il giorno di quel gran trionfo che deve avere la Madonna su questo luogo abbandonato e solitario.
In questo mezzo, per la solennissima ricorrenza, un pensiero molto salutare ci sorge in mente: - Nel dì 8 Maggio, quando la squilla del mezzogiorno ci annunzierà di rivolgerci a Maria salutandola come la salutò Gabriello nell’umile dimora di Nazareth, noi pensiamo di renderle allora un omaggio di preghiera, come se partisse da un solo cuore, come se si sciogliesse da un sol labbro, conforme abbiam fatto nei passati anni. Per questo abbiamo riprodotto la nostra Supplica, la quale è stata sottoposta all’approvazione della S. Congregazione dei Riti, ed è stata dal Romano Pontefice arricchita di Indulgenza. Questa Supplica deve riunire nel mezzogiorno degli 8 di Maggio tutti i cuori sacri a Maria, e ciascuno, dal luogo là dove si troverà, potrà recitarla unendosi in spirito alle preghiere che si faranno dal numeroso popolo che sarà accorso in Valle di Pompei a venerare di persona l’augusta Regina del Rosario. Così nella stessa ora da tutte le parti del mondo, e, come contro, dalla Valle di Maria, una concorde ed unanime voce, uno stesso accento di tenerezza e di amore, come il profumo dell’incenso, salirà grato al suo trono celeste.
Lo ripetiamo: noi qui in Valle di Pompei, nel recinto del Santuario di Maria, che in quel giorno ed in quell’ora sarà posta sul trono, formiamo il capo di una colonna che si distende per tutta la terra, ea prime fila di un esercito di predestinati figli della gran Madre del Calvario, cui fan seguito tutti i predestinati della terra.
Maria, la quale dalla provvisoria sua stanza nella piccola Cappella attigua al gran Tempio, ha versato sopra di noi tanti benefici, ha elargito tante grazie, ha prodigato tanti favori, come non vorrà poi da quel Trono di Maestà e di amore volgere il suo sguardo pietoso sopra dei suoi teneri figliuoli? Oh! dobbiamo esserne certi; poiché se S. Andrea Cretense raccontava che Maria solel maxima pro minimis reddere; noi abbiam tutta ragione di confidare nella sua materna bontà, e sperarci segnalate grazie, singolari prodigi, perché le abbiamo donato un Trono sulla terra degli idoli e dei demoni.
Quando a noi la fiducia non vien meno, poi che l’esperienza di ben dodici anni ce ne porge sicurezza.
Perché mai il Signore avrebbe dato a noi la sorte, che dopo diciannove secoli di sua Religione, noi fossimo gli avventurati eletti ad erigere un Trono a Maria sulla terra dei Gentili, se non per essere da Maria Protetti? E perché avrebbe prescelto questo secolo che corre a perdizione, e non un altro secolo o passato o futuro, se non perché questo nostro secolo deve trovare scampo e salute nel Rosario di Maria e nel suo Tempio di Pompei? E perché Maria per dodici anni continui ha operare tanti prodigi, se non per apparecchiarsi questo giorno di trionfo, in cui posta sul Trono, in Pompei, avrebbe largheggiata di maggiori grazie e favori celesti? Ed avrebbe aperto le braccia ai peccatori che da tutte le parti del mondo sarebbero corsi ai suoi piedi?
O Fratelli e Sorelle del Rosario, che con me avete diviso il palpito d’amore per sì celeste Regina, e con me vi siete uniti ad elevarle un trono sontuoso, degno della nostra fede ed il meno indegno della regina del Cielo, aprite il vostro cuore alle più dolci speranze.
Fratelli! Il suono dell’Angelus a mezzogiorno dell’8 Maggio è il suono della raccolta di tutti i cuori fedeli ad inneggiare alla regina di Pompei. L’Arcangelo duce di tutte le milizie celesti e degli angelici cori, Michele, cui Cielo e terra in quel giorno si uniranno per fargli onoranza, discenderà in quel medesimo giorno e in quell’ora segnata da Dio, insieme con gli Angeli santi, a circondare l’ara novella e il Trono della sua Regina.
E la sua spada fiammeggiante, che inabissò Satana e i seguaci di lui, sfolgorerà ancora i nemici di questo Santuario.
Fratelli! Noi tutti insieme, da tutte le parti della terra loderemo Maria, pregheremo Maria gli uni per gli altri, per i vicini e per i lontani, per chi gode e per quelli che soffrono, per le famiglie, per le nazioni e per la Chiesa di Gesù Cristo: e così, fatti forti della preghiera unita, noi strapperemo dalle mani di Maria le desiderate grazie, i sospirati favori.
(Autore: B.L.)
Le cento città ai piedi del Trono di Maria
Il tempo incalza; un altro mese è passato di questo anno memorabile; il termine delle nostre brame, delle brame di cento migliaia di credenti si fa, ad ogni dì, più vicino. In Valle di Pompei si Sente come un’arcana potenza che dirige, veglia, affretta il multiforme lavorio delle macchine, degli scalpelli e dei pennelli; i quotidiani visitatori guardano, stupiscono e si commuovono; mentre dai lontani arrivano torrenti do lettere desiderose di una novella, fra tutte carissima: la novella del Trono da consacrarsi alla regina del Rosario.
O cari, è eretto il Trono prezioso; e così per appunto fu compiuto nelle sue singole parti che non un apice manca di quanto aveva preconcetto l’ardita mente degli artisti, e di quanto a voi era stato prenunziato.
Mentre tutto il mondo cattolico concorreva a questa grandiosa opera di amore e di fede, si pensò di erigere a Maria contemporaneamente un chiaro monumento di lodi per mezzo di un ricco Album che raccogliesse gli affetti delle più illustri persone italiane e straniere; e questa nuova corona di fiori, intrecciata, come già è noto, in brevissimo volgere di tempo, farà anch’essa la sua comparsa ventiquattro ore prima della fausta inaugurazione del trono; ossia il dì sette del prossimo maggio.
Ma che sarà mai in quel giorno ottavo di Maggio, sacro all’invitto Arcangelo di Dio e custode dell’umile Valle di Pompei, S. Michele?
In questo medesimo Quaderno vi sarà presentato il programma di tutte le sontuose solennità che si eseguiranno, durante l’intero mese, ad agio e sfogo della pietà universale.
Se non che quel giorno otto è veramente il giorno assegnato alle feste dei signori forestieri. Le cento città d’Italia avranno in quel giorno un loro rappresentante in Valle di Pompei.
Sarà appunto in quel giorno che la prodigiosa Immagine, recata sulle spalle da quattro illustri personaggi, entrerà processionalmente nel Tempio a prendere possesso del suo Trono; ed appena rimosso il velo che la ricopre, apparendo la prima volta dall’altezza maestosa, tutte le bambine dall’Asilo si prostreranno ai suoi piedi e Le porgeranno chiuse e suggellate le suppliche che da questo mese sino a quell’ora saranno inviate in Valle di Pompei, o saranno portate dai Zelatori delle varie città  d’Italia e dell’Estero.
Quale giorno! Quale momento! In tutta la nostra vita non tornerà più; e beato chi potrà dire: Io vi fui!
Già dall’illustre Dottor Rubini viene data al Direttore partecipazione delle numerose rappresentanze che verranno dalla provincia di Bari e di Lecce; e da Siena giungerà il primo Zelatore della Toscana, il noto Francesco Desideri; da Malta uno dei più fervidi apostoli del Rosario di Pompei, Emmanuele Inglott; da Ferrara uno dei più eletti gentiluomini di quella città, Cav. Grosoli; da Roma la primiera Zelatrice di quella città, Signora Licinia De Paolis e la Principessa di Braganza ed altri duecento signori e signore, Zelatori e Zelatrici, e moltissimi di altre città più lontane; da Roma ancora l’Em. Cardinale Monaco Lavallette. E chi sa quanti altri Vescovi non seguiranno il suo esempio. Venendo di persona ai piedi del soglio di Maria per affidare nelle mani di Lei la loro Diocesi e tutte le anime da Dio alla loro cura commesse?
E tu, o Vergine del Rosario, non ci farai degni in quel giorno d’alcuno di quei tuoi singolari prodigi, che spetrano i cuori più duri e centuplicano le schiere dei tuoi fedeli?
“Sursum corda!”  Siamo tuoi figli; ti amiamo così che il labro umano non sa ridirlo; e abbiamo speranza inconcussa che quanti ti onorano in terra, e verranno in quel giorno ad assistere ai tuoi trionfi in Valle di Pompei, formeranno una nuova corte di beati intorno al tuo trono, in cielo.
(Autore: G. De Bonis)
La festa del 2 Ottobre 1887 nel Santuario di Pompei
Nel giorno 2 del prossimo Ottobre, prima domenica del mese, in tutto il mondo sarà festeggiata la regina del cielo sotto il titolo glorioso del SS. Rosario. Anche nel Santuario della Valle di Pompei, che è il primo Santuario che si erige in Italia a gloria del Rosario di Maria, la festa solenne e principale in onore della prodigiosa Vergine sarà fatta nella prima Domenica di Ottobre.
Giorno ricordevole è questo per l’Italia e per tutta la cristianità, poiché ricorda il trionfo delle nostre armi contro la prepotenza musulmana: ma per noi e per tutti i nostri fratelli, che d’ogni parte del mondo abbiamo concorso ad innalzare un trono alla regina delle Vittorie, questo giorno è doppiamente solenne.
Dobbiamo quindi festeggiarlo con tutta la maggior pompa, con tutto lo slancio dell’animo.
È la prima volta che nel Santuario di Pompei viene festeggiata la Regina del Rosario sul suo Trono e sul suo Altare nel giorno ricordevole dei trionfi del popolo cristiano. Dobbiamo dunque in questo anno raccoglierci tutti in spirito, fratelli e sorelle di questo Santuario, vicini e lontani, e ripetere con il fervore della preghiera gli attestati di ossequio, di venerazione e di amore alla Regina delle Rose celesti, che ha convertito l’arida terra della Valle di Pompei in un giardino di celesti delizie. E la nostra preghiera d’una medesima fede e d’una medesima speranza. E la nostra preghiera unita ascenderà al trono dell’Altissimo; e gli Angeli ne riporteranno ineffabili benedizioni.
Sarà in quel mattino fatta la Comunione generale all’arrivo del treno delle 9,15 con colloquio dell’eloquente oratore di Napoli sacerdote D. Errico Marano; e sarà fatta ancora la prima comunione ad ognuna delle nostre orfanelle e ad altre bambine e fanciulle di altre città che in quel giorno qui si raccoglieranno sotto la guida dello stesso piissimo sacerdote Marano.
Quindi avrà luogo una solenne processione: la processione del Rosario. Si ripeterà in quel giorno la medesima funzione del mattino degli 8 di Maggio ora passato. La prodigiosa Immagine del Rosario sarà discesa dal suo trono, ed uscirà dal suo tempio portata sulle braccia dei suoi figli fino alla grande Piazza della Nuova Pompei, dove ribenedirà la sua Valle e i figli suoi accorsi a farle attorno ossequio ed onoranza. Vedremo chi saranno questi avventurati! E rientrata nel tempio, nell’ora di mezzodì sarà a voce alta e da tutti unanimemente recitata la Supplica alla potente Regina del SS. Rosario.
Ed a quell’ora medesima da tutte le parti del mondo si eleverà una medesima voce, un accordo di gemiti, un fervore di preci; e tutti concordemente la medesima Supplica alla potente Regina del SS. Rosario.
E novelle benedizioni pioveranno dal cielo ai gementi figliuoli di Adamo che gridano e sospirano alla Regina, Madre di misericordia, Vita, Speranza e Dolcezza degli esuli traviati. Già a tutti voi, o fratelli, sono note le benevolenze e le concessioni a noi largite dal santo Pontefice Leone XIII; e tra le altre di avere Egli approvata ed arricchita d’indulgenza la nostra umile Supplica alla potente regina del SS. Rosario. Ora con il recente Rescritto del 18 Giugno 1887, che noi possediamo, ha allargata la concessione di 7 anni d’Indulgenza e di 7 quarantene non solo per il giorno 8 Maggio, ma ancora per la prima domenica di Ottobre per 7 anni.
(Autore: Bartolo Longo)
Nel mezzodì del 2 Ottobre 1887 - La Supplica alla Regina del Rosario
Nelle Domenicane dei SS. Domenico e Sisto in Roma
“Non torna nuovo ch’io Le scriva come anche noi il giorno 2 Ottobre, festa del SS. Rosario di Maria, recitammo in comune la devota e commuovente Supplica innanzi un bel Quadro della B. V. di Pompei ornato di fiori artificiali e candele accese. Dico non torna nuovo, perché sempre nelle due feste dell’8 Maggio e 1^ Domenica di Ottobre facciamo il medesimo. Ma nel Maggio p. p. quando fu messa in trono la cara nostra Madre in Pompei, recitammo con più solennità la bella Supplica.
Già tutto il Mese di Maggio si tenne esposta la S. Immagine sull’altare del coro superiore con lampada accesa, e furono fatte le tre novene. Quindi il giorno della gran festa la Immagine era in mezzo a svariati fiori artificiali e 15 Misteri del SS. Rosario, offerte dalla pietà delle Religiose figlie del Rosario. La cara Nostra Madre sembrava che stesse proprio in trono, e tutto il giorno fu corteggiata da noi; e si diceva: - Andiamo alla nostra piccola Pompei.
(Autore: Suor M.ª Chiara Sforza – Domenicana)
La prima ora del gran giorno di Maria
Conforme avevamo annunziato, nell’ora della mezzanotte del 7 Maggio 1888, ci raccogliamo in questo Santuario ai piedi della Vergine benedetta a solennizzare con l’inno del suo Rosario la prima ora del giorno memorabile degli 8 di Maggio.
Quando fummo in Chiesa ci avvedemmo che non eravamo soli. L’Amore alla Madre santa, il desiderio di inneggiarla, di pregarla, in quelle prime ore del giorno da Lei contrassegnato con immensi prodigi, aveva sospinto da luoghi lontani tante anime predilette a convenire insieme ai suoi piedi per renderle onoranza con la guardia d’onore.
Erano famiglie di Siena col capo zelatore della Toscana, vivo per miracolo della Vergine di Pompei, Francesco Desideri: erano di Firenze coll’assiduo cultore del Santuario di Pompei, il Dottor François con la sua famiglia: erano di Napoli col Padre della gioventù, il degno seguace del Calasanzio, il P. Sisto Bonaura delle Scuole Pie, Direttore del Collegio Calasanzio: erano di Palermo, di Roma e degli Abruzzi, con una carovana di uomini e di donne, che mossero da Piedimonte d’Alife; ed erano pure persone qui addette, in questa santa famiglia raccolta da Maria in questo luogo, che rinunziando al riposo, tanto necessario dopo le straordinarie fatiche sostenute per l’apparecchio della festa, vollero partecipare della ineffabile delizia di lodare ed amare Maria nella prima ora del giorno a Lei consacrato.
E noi ci ricordammo in quell'ora solenne di voi tutti, o fratelli e sorelle, iscritti alla grande famiglia dei figliuolo della Vergine di Pompei. E pregammo che sovra di tutti la Madre benedetta imponesse le sue mani a pegno di grande e di sue benedizioni. Raccomandammo singolarmente tutti quei devoti che a quell’ora medesima, lasciando il riposo, da lontano salutavano la nostra Regina con il suo Rosario, e si univano in spirito con noi, che eravamo prostrati ai piedi del suo Trono in Pompei.
Oh quanta speranza, quanta delizia infonde Maria a chi le fa compagnia in questo Santuario nelle ore silenziose della notte!
Per noi e per quanti si trovarono qui nell'avventurata ora, parvero ripetersi le ineffabili consolazioni provate nella notte del Natale.
E chi sa che un giorno non arriveremo ad ordinare un servizio di guardia di onore alla Regina di Pompei, nelle ore del giorno e della notte, senza interruzione, a cui prendessero parte anche le famiglie più lontane da Pompei, con il levarsi di notte nella propria camera all’ora prescelta, e lodare e benedire Maria con la sua Corona? (B.L.)
*Nel gran giorno di Maria, 8 Maggio 1888
Sono sempre queste le vittorie di Maria: tirare a sé i cuori per inghirlandare il suo Trono di Pompei, di novelle misericordie. Siamo, ognuno lo dice, in tempi di fede morta; ma la Chiesa di Gesù Cristo è obbligata sempre a Maria di rivedere ogni giorno i più splendidi tempi della fede rediviva.
 
Posta sul Trono delle sue misericordie nel bel mezzo di questa Valle silenziosa, perché da tanti lontani paesi non potevano qui trovarsi presenti tanti suoi devotissimi figli, ha Essa voluto per compenso che, nei giorni delle sue grandi feste, essi almeno qui volassero con il cuore. E, nulla Essa tanto gradisce, quanto di vedersi dai suoi acclamata e festeggiata, ha voluto ispirare loro il santo pensiero di far riprodurre in tanti vari paesi i fervorosi echi delle nostre anniversarie feste. Sono innumerevoli le lettere informative di tali feste degli 8 Maggio pervenuteci fin ora; e, se lo spazio ce lo consentisse, ben volentieri noi tutte qui le porremmo sott’occhio ai nostri lettori.
 
Ma, oltre quello che essi già sanno, o che potrebbero da sé immaginare, che altro di nuovo noi potremmo dir loro, se non che noi viviamo in una continua commozione, alla vista di tanti prodigi e di fatti straordinari che c’impediscono talvolta di adempiere i più stretti doveri sociali verso coloro che ci scrivono, o che vorrebbero tosto veder pubblicate le loro lettere?
 
La città di Bologna che è stata una delle ultime in Italia a risentire del fuoco celeste che erompe dal senso di questa Valle del Vesuvio, oggi si desta come da un’estasi meravigliosa, alla invocazione della Vergine del Rosario di Pompei. E abbiamo noi bisogno di raccontare, come la devozione al S. Rosario è rinata nelle famiglie, come ci scrivono quasi dappertutto; e che in alcuni paesi, come è in Alatri, non vi è famiglia che in casa non tenga esposta la cara Immagine della Madonna di Pompei? L’entusiasmo per la nostra bella Regina è una elettrica corrente, che ha messa in fiamme d’amore, da un capo all’altro, l’Italia; e da Saluzzo a Sebenico in Dalmazia, da Chieri e da Gorizia a Malta, sono già ormai le più belle città e borgate, che festeggiano ogni anno l’ottavo giorno di Maggio con sempre nuovo fervore e con sempre più crescente pietà. Sono chiese pubbliche, sono privati oratori, sono Seminari vescovili, sono case di pena, sono pubblici ospedali, sono Comunità religiose, dove i cuori di tanti afflitti o aspettanti grazie, ad un’ora stessa con noi hanno dato il grido della fede, esclamando a coro: - Grazia, grazia, o Maria.
 
E questa crescente marea di fede vivissima quale forza umana potrà mai arrestare? “I nostri pellegrini (così ci scrivono da Gorizia) sono tornati da Roma dopo aver visitato la novella dimora di Colei che si mostra Regina di misericordia nella sua Valle prediletta; e seco hanno portato un grande entusiasmo per la Madonna di Pompei, ciò che si vede specialmente nel nostro Monsignor Vescovo. Non molto andrà, ed i 15 Sabati anche in Gorizia saranno fatti pubblicamente”.
 
Qual meraviglia quindi che la gloriosa Regina nostra infiorare veglia ogni volta quei cari giorni di festa a Lei dedicati con sempre nuove grazie, le quali finiscono con il riuscire sempre l’affermazione più eloquente dei bei miracoli, che la fede sappia operare?
 
Da Dragoni (Terra di Lavoro) ci hanno scritto, che una pia signora, già disperata dai medici, proprio il giorno 8 Maggio si trovava in fin di vita: bastò che una nostra zelatrice le sussurrasse all’orecchio d’invocare la Madonna di Pompei: all’istante l’inferma fu liberata dalla febbre, e in pochi giorni fu guarita.
 
Ci scrivono da Zangber (Baviera superiore) le Reverende Suore della Visitazione: Tutta Zangber si trovò con il cuore in questa Valle, anzi in questo sontuoso tempio nei giorni delle feste, specie l’8 Maggio.
 
Tutta la nostra Comunità era riuscita dinanzi alla prodigiosa Immagine di Pompei, e commossa recitò in tedesco la devota Supplica. Lo stesso fecero tutte le nostre allieve; e fu pure recitata la bella Supplica a S. Michele. Le assicuro, Signor Avvocato, che fu un momento solenne!
 
Le Benedettine di Fiume in Ungheria ci scrivono: Anche noi, così lontane, in Ungheria, facciamo parte con il cuore e con i desideri delle preci e delle funzioni che costà si fanno nel Santuario di Pompei. E ripetiamo qui le vostre preghiera.
 
A leggere tante relazioni è tutto lo stesso: i fedeli correre in folla alle chiese, calca ai confessionali, comunioni generali, commozione suprema all’ora del mezzodì, vedere tutto un popolo recitare fra pianti e singhiozzi la devota Supplica a Maria. Come raccontare le novene di apparecchio al gran giorno, i tridui devoti, le feste clamorose, le processioni solenni? Chi si è trovato a Melfi, a Salerno, a Ferrara, a Lecce, a Rocca Grimalda, a Palermo, a Messina, a Civitavecchia, a Lugo, in Gorizia, a fermo, a Vitulazio, a Melendugno, a Borgo Gaeta, può dire di aver visto a che punto arrivare possa il santo entusiasmo di un popolo credente, che le mani supplichevoli stende alla gran Regina delle misericordie, che ha poste le due tende nel luogo di morte e di rovine. (B.L.)
Presiede il Vicario Generale di Nola, Mons. Giosuè Maria Caprile
La notte del 6 Ottobre 1888
Noi l'avevamo annunziata questa notte della grande vigilia del Rosario sotto il titolo di “notte beata”. E beate veramente e mille volte benedette furono quelle ore, le quali chiudendo il giorno della gran vigilia, il Sabato, ultimo dei Quindici Sabati da tutti santificati, precedevano l’aurora del gran giorno di Maria.
Chi può ridire da quali arcani sentimenti è preso l’animo di chi ha la ventura di passare una notte ai piedi di questa dolcissima, prodigiosa immagine? Noi, francamente, non ci sentiamo idonei ad esprimere tanta celestiale dolcezza, poiché gli affetti copiosi, che si avvicendavano in cuore in quella notte, non sanno trovare la forma sensibile o il segnale della parola che valga a tradurli nella loro pienezza.
Siamo ancora in preda di quello indistinto, confuso sentimento, il quale suole occupare la mente di chi fa testimone di un evento straordinario.
Noi ci troviamo oggi in quella condizione di cui sono gli uomini che si destano dopo un lungo e profondo sonno, nel quale hanno vagheggiato incantevoli visioni di arcani rapimenti.
La memoria non presenta di un tratto tutti i particolari della visione; ma porge all’intelletto un gruppo di letificanti immagini, le quali sommano in questo dir solo: “beata visione! Malagevole assai a descrivere”.
Ora so spiegare a me stesso come taluni Santi, che, ancor viatori, hanno goduto per brevi istanti qualche raggio dell’amore divino invadente il cuore a guisa di fiumana celeste, hanno sembianza di istupiditi innanzi al mondo. L’amore di Dio, quando è strapotente, estolle (alza) l’uomo dai sensi, e gli rende insipido ogni diletto che sa di terra; ed allora ogni studio di parola o di forma che ad altri piaccia, è molestia. L’animo ripieno di una delizia che lo appaga, mentre che lo consuma in novelli desideri, non si trova più adatto a piegarsi a rintracciare le forme del dire umano o delle regole della retorica, o della grammatica; e dà quindi apparenza l’ignorante o di stordito.
Oggi spiego meglio a me stesso ciò che leggo nella vita del P. Ludovico da Casoria, scritta dal Cardinale Capecelatro, e ciò che ricordo anche io di persona, come cioè quel caro ed amato Padre, il S. Francesco d’Assisi del XIX Secolo, tuttocchè fosse stato maestro in filosofia ed in matematica e cultore anche della lingua francese, allorchè diede tutto sé alla vita pubblica di carità, dimenticasse anche il parlare secondo grammatica.
E a chi dubita che P. Ludovico affettasse studiatamente ignoranza, rispondo, che l’ultimo scalino di perfezione, secondo gli ammaestramenti di San Giovanni Climaco, cioè l’ultimo grado che immette all’unione intima con Dio, è appunto lo stato della insensatezza dell’anima: la quale viene prodotta o da dolori senza misura o da amore senza confine. Quando lo spirito è oppresso da gravi dolori, oppure è invaso da immenso amore divino, diviene come insensato dinanzi alle creature.
Questo lungo preambolo mi scusa presso il lettore del dovere tacere molte particolarità d’impressioni e di fatti di quella notte santissima, la quale non può descriversi che nelle sole sue circostanze singolarissime: e queste furono, gli scoppi del cuore in ardentissime preghiere, la copia delle lacrime per santissimi affetti.
Ormai parecchie città d’Italia hanno udito raccontare di questi meravigliosi effetti che produce in qualsiasi persona lo stare un’ora sola a pregare in questo Santuario, ai piedi di questa Taumaturga Regina.
Qui si sente da ognuno una forza superiore che s’impone sullo spirito, e costringe a piegarsi in adorazione.
Forse è la presenza reale degli Angeli che hanno singolare custodia di quella Reggia divina: forse, il che è più consolante, è la presenza medesima della Regina del Cielo, che rende maestosa e bella d’incantevole bellezza quest’aula delle sue misericordie.
Il fatto si è, che quanti intervennero qui in quell’avventurata notte, muovendosi di lontani paesi per godere di un’ora di felicità, che si trova soltanto in quelle ore silenziose, in cui la nostra Regina dimostra che più gradisca gli ossequi che noi le rendiamo; tutti si sono fatti già banditori delle celesti meraviglie onde l’animo loro fu fatto lieto.
Dappoichè senza alcun precedente convegno, alle undici della sera del sabato, questa chiesa era piena di gente devota che aspettava con ansia l’inizio delle sacre funzioni, il canto solenne dell’Ufficio del Rosario bandito al mondo dal capo di tutta la Cristianità. Erano Signori e Signore o Sacerdoti e gente di varie classi sociali, e di varie province, di Milano, di Napoli, di Rimini, di Ancona, di Caserta, di Roma, di Firenze, che qui trassero inaspettati; e non mancò, a compimento della sacra scena, un pellegrinaggio di popolo che nel suo pittoresco costume faceva pensare ai pastori di Betlemme accorrenti al Presepe: veniva da Roseto Valfortore.
Capo a tutta quella corte di predestinati, che intessero l’invito di Maria, in quella notte, era il degnissimo Vicario Generale di Nola, Mons. Giosuè Maria Caprile, il quale intonò il solenne ufficio, ed aggiunse con l’assistenza di sua autorevole persona lustro e maestà a tutte le sacre funzioni della notte e del giorno seguente.
Noi non diremo dell’ordine e della esattezza di queste funzioni, perché quel che forma la singolarità di questo Santuario non è la perfezione del rito, né la suntuosità del culto, neppure il numero stragrande degli accorrenti: in questo la nostra Chiesa non è punto superiore ad altri Santuari. Ma tutta la singolarità, che costituisce la nota caratteristica del Tempio di Pompei, si è l’impeto dell’amore onde ogni cuore qui è trasportato sino all’entusiasmo.
La vivezza della fede, innanzi all’evidenza del miracolo, genera l’amore traboccante che produce affetti vivissimi per Dio e per l’Immacolata sua Madre. E questi affetti si traducono in espressioni di ardimentose preci, che nascono dalla confidenza verso Colei che ognuno ama e sa che ne è rimasto assai.
Questa particolarità, tutta propria del Santuario di Pompei, rifulse luminosamente un quell’ora, in cui il Quadro prodigioso della Regina del Rosario venne disceso dal suo Trono, e posto in mezzo ad una corona di figli che l’aspettavano ansiosi non altrimenti come veramente la divina Madre discendesse dal cielo in terra.
E quando la pietosa Immagine fu in mezzo a noi, chi sa dire le parole ardenti che ognuno di noi rivolse a Maria? Chi sa contare le lacrime che bagnarono i piedi della venerata effigie? Era una tenerezza, una consolazione, un contendere comune fra tutti di posare per un istante la fronte sul piede della dolcissima Madre.
Ciascuno le diceva i propri affanni, le sue sollecitudini, le sue sofferenze, i bisogni della propria famiglia; e chi le raccomandava il figlio e chi il padre, e chi gli amici, e chi i concittadini, e chi la Chiesa tutta. E tante voci, che pareva discordassero tra loro per diversi accenti, facevano una sola preghiera, armonizzavano una medesima nota, la nota di un solo amore, di una fede.
Ricordo ancora il piangere e il singhiozzare di persone che io conoscevo e di persone che mi erano ignote. E uomini dell’aspetto severo io vidi, come travolti dal fascino della commozione, prostrarsi in ginocchio. E taluno, che io sapevo di corta fede, vidi pregare calorosamente, come sa pregare la donna.
Scorsi un militare, graduato, che nascondeva la faccia verso la parete per celare le lacrime che mal trattenute gli scorrevano dal ciglio.
Giovani floridi, nel vigore della vita, come la corona in mano, recitare ad alta voce con giovanile espressione di amore, l’Ave Maria.
E tutti a gareggiare per avere corone e immagini e medaglie e foglie di rose benedette ed altre cose sante, toccate al Quadro prodigioso. E in quella che io toccavo la sacra tela con gli oggetti presentati, si ripeteva da tutti il versetto: “Fecit potentiam in brachio suo; dispersit superbos cordis sui”.
Prima che si desse inizio alla solenne notturna funzione, l’Immagine adorata veniva portata su per riporsi in trono.
La cara Effigie saliva a vista di tutti, e tutti la seguivano con i palpiti del cuore, con lo scoppio del pianto e con l’acclamazione del grido della fede, Trenta volte la Sacra regina s’intese risuonare per le spaziose volte del Santuario; e cento cuori con unanime grido salutavano l’Immagine della cara Madre Divina, come si saluta una apparizione celeste.
E la Vergine dal Cielo concorse a rendere più bella e più solenne la funzione di quella notte.
Avevamo ottenuto, per privilegio speciale del Sommo Pontefice, che quanti si trovassero in chiesa in quella notte potessero ricevere l’Eucaristica Comunione e soddisfare al precetto festivo della Messa fin da due ore dopo la mezzanotte. Ed era pure designato da Maria quel Sacro Ministro al quale dovesse offrire a Dio il Sacrificio notturno, che solamente nel Santuario di Pompei in quell’ora si sarebbe offerto, quando ogni altro sacro recesso taceva nel silenzio dell’umano riposo.
Quel Sacro Ministro, che qui capitò quella notte per una speciale ispirazione del cielo, non era un semplice sacerdote, ma un Vescovo: né era italiano, né di qualche regione d’Europa, ebbene era dell’America, un Vescovo dell’Equatore! L’apparizione di un Vescovo straniero in quell’ora in cui tutto qui aveva l’aria di una celeste poesia, valse ad eccitare gli animi di nuovo entusiasmo.
E quando ad un’ora e mezzo dopo la mezzanotte ebbe termine il canto solenne dell’Ufficio del Rosario, e cento voci unanimi inneggiarono a Maria con la recitazione delle 15 decadi della sua corona, dedicandole un’ora di guardia; quando giunse l’ora desiderata in cui il Figlio della Vergine si doveva rendere nostro cibo per la nostra immortalità, noi tutti ci sentimmo trasumanati: noi non eravamo più noi. Lo spirito di Dio discendeva su di noi e produceva quegli infuocati singulti che un giorno produsse sugli Apostoli radunati nel cenacolo di Sion.
Sembrerà forse ad alcuni una esagerazione?
Quanti qui vennero, e quanti qui videro, rendono testimonianza della verità.
Nella chiesa di Pompei accade un fenomeno del tutto strano e superiore alle umane leggi: qui succede, direi, una trasformazione dell’uomo. Lo spirito si sente come sollevarsi dalla materia e venire compreso dalla Divinità che è presente; e prova dei sentimenti che sa di non poter provare altrove, dove che sia. In quell’ora, in quella notte, quanti di noi avrebbero voluto morire ai piedi di quell’altare! Ognuno di noi assaporava la dolcezza che si ha nello spirare ai piedi di Maria, sotto il fascino dei dolci suoi sguardi. Ognuno di noi si rendeva in quell’ora Sacerdote, conforme il detto di S. Pietro, “regole sacerdotium”. Offriva se stesso a Dio per la santificazione propria, per il bene dei propri fratelli, per la salvezza di tante anime, per la riconciliazione degli altri. E questa offerta era al sommo accettevole a Dio, perché fatta insieme con Gesù, divenuto una cosa con il cuore nostro e con il sangue nostro.
Ora come può il linguaggio umano descrivere adeguatamente il sentirsi fuori di sé medesimo, acceso di Dio, sino a fare iattura di sé medesimo per amore di Dio? Come mai stando sulla terra si possono significare i sentimenti che sono patrimonio dei celesti?
“… trasumanar, significar per verba
Non si potria”
Scrisse il divino poeta; e così termino io.
La solenne benedizione, impartita dal Vescovo di Guayaquil, chiuse le sacre funzioni di quella notte, la quale fu nel mondo l’unica e la prima a venire consacrata tutta intera ad onorare la Regina del Santissimo Rosario. (B.L.)
Presiede l’Ill. e Reverendissimo Monsignor Giosuè M. Caprile, Vicario Generale della Diocesi di Nola
Mercoledì, 8 maggio, giorno dedicato all’Arcangelo S. Michele, proclamato nel passato anno Custode e difensore di questo Santuario e dell’Orfanotrofio della Vergine; giorno di solenne ricordanza dei primi trionfi della Vergine del Rosario su questo suolo Pompeiano, avranno luogo le feste in onore dell’uno e dell’altra: dell’uno come Principe di tutti i Principi del Cielo, e vassallo fedelissimo della Regina del Paradiso; e dell’altra, come a Sovrana del cielo e della terra, e Signora preclarissima della Nuova Pompei.
Alle ore 10 a. m. si reciteranno in chiesa in comune e ad alta voce dieci poste del Rosario di Maria. Quindi verrà celebrata la messa piana con accompagnamento di canto delle orfanelle. Alla messa sarà fatta la comunione generale.
Compiuto il divino sacrificio, dopo le preghiere ingiunte dal Pontefice Leone XIII a S. Michele Arcangelo: - Sancte Michael Arcangele defende nos etc., verrà dal Sacerdote letta pubblicamente la Preghiera all’Arcangelo San Michele, protettore e custode del Santuario e della Nuova Pompei, per ottenere il suo potente patrocinio la quale venne recitata la prima volta nel passato anno ed incomincia: - Io ti saluto, o altissimo Principe del Cielo, ecc. ecc.
Seguirà “l’inno all’Arcangelo S. Michele”, poesia dell’Arciprete Giuseppe De Bonis, musica del Maestro Giacinto Liucci, coro a cinquanta voci eseguito dalle nostre orfanelle.
La preclara arpista napoletana signorina Annina Longobardo Saldutto per sua singolarissima devozione alla Vergine di Pompei si recherà novellamente a questa. Valle per accompagnare con il suono dell’arpa il canto delle orfanelle.
Esposto solennemente il Santissimo Sacramento, l’Ill. e Reverendissimo Monsignor Giosuè M. Caprile, Vicario Generale della Diocesi di Nola, dirà un breve sermone di apparecchio alla comune preghiera, alla Supplica del mezzodì.
Ed al tocco del mezzodì sarà da tutti ad una voce recitata la Supplica alla potente Regina del Santissimo Rosario: quella Supplica che ripetuta nella medesima ora in cento e cento città e borgate e ville e chiese ed oratori, in tutte le parti della terra, suole ogni anno attirare dal Cuore di Maria ineffabili misericordie su quel che la invocano Madre e Regina del Rosario di Pompei.
Immediatamente, come sarà detta la Supplica, verrà impartita la solenne benedizione, per modo che ciascun che voglia, possa sicuramente fare ritorno con il treno delle 12,30 da Valle di Pompei.
*La grande giornata del Calendario della Nuova Pompei
Questa è la giornata che ha fatto il Signore: Haec dies quam fecit Dominus.
Questo giorno memorabile degli 8 di maggio segna per Valle di Pompei il principio delle strepitose meraviglie della Madre di Dio, dei grandi dolori e delle ineffabili gioie per coloro che furono principali strumenti a compiere in questa terra storica, antico palladio del popolo idolatra, i sublimi disegni della Provvidenza.
Nella storia del genere umano si riscontrano alcune date famose, le quali o attestano terribili e sanguinosi rivolgimenti politici che partorirono poi profonde mutazioni sociali; o ricordano le origini oscure e quasi inosservate di un pensiero religioso, destinato a dominare il mondo e stabilirvi una civiltà, che trae la morale e da dommi sovrumani l’intima vita e l’indole caratteristica; o additano superbi ritrovati di grandi intelletti, che tracciarono nuove vie ai loro fratelli per guidarli meno faticosamente all’acquisto di quei fini altissimi per i quali si agitano senza posa, tra l’urto tempestoso e gagliardo delle passioni.
Da queste epoche pigliano il loro nome i più importanti periodi storici, trovano la ragione di essere le varie civiltà e i civili ordinamenti. Alla loro luce si fondano le cronologie, si stabiliscono le solennità civili e religiose, si riordinano le sparse file dei fatti più rivelanti. Si può dire che siano tante fiaccole, le quali poste a varia distanza tra loro, rischiarano il cammino percorso dai popoli: o altrettante colonne miliari, che testimoniano ai posteri le luttuose catastrofi e le splendide vittorie dei nostri padri nella via della verità e del progresso civile.
La ricorrenza anniversaria di queste grandi epoche è celebrata da tutti i popoli con solennità civili e religiose, per le quali essi ritemprano lo spirito e quei principi che governano le loro istituzioni; traggono nuovo vigore ai loro propositi; e con fede più gagliarda nel loro avvenire, ricominciano imperturbabili la lotta quotidiana per conservare e migliorare ciò che reputano patrimonio inalienabile della loro esistenza religiosa e civile.
Il cadere del giorno otto maggio costituisce per Valle di Pompei un grande avvenimento in ordine della religione e della civiltà.
A questa data sono legati i principi e le ragioni di questo meraviglioso fenomeno mondiale, il quale nel volgere di pochi anni, sollevatosi da umili principi a gigantesca grandezza, fa intravvedere la mano della Provvidenza che lo guida a grandioso avvenire.
In questo giorno si raccolgono, come in poderosa sintesi, l’inaugurazione della Nuova Pompei cristiana sulle rovine dell’antica città idolatra, l’innalzamento di un tempio cattolico, miracolo e meraviglia dell’arte, le grazie innumerabili che, la Madre di Dio sotto il nuovo titolo di Pompei ha disseminate in tutte le contrade del mondo, l’istituzione di grandi opere della più inoltrata civiltà, e la manifestazione del nuovo apostolato che la Vergine compie nella società moderna.
Nelle dolorose ed inevitabili difficoltà che incontriamo nel nostro cammino, nel cammino, nella lotta terribile che dobbiamo sostenere per l’adempimento di altissimi doveri, noi con animo confidente guardiamo il giorno 8 Maggio come ad un faro luminoso che rischiara la via che ci resta da percorrere. In questa data gloriosa noi riposiamo lo spirito affaticato, e riprendiamo lena maggiore a proseguire innanzi. Essa manifestandoci il dito di Dio in questo grande miracolo di fede e di civiltà, rende illimitata la nostra fiducia, indomabile la tenacia dei nostri propositi; e diffonde nel nostro cuore una pace soavissima, che ci ricompensa largamente le amarezze sofferte e i futuri   dolori.
*L’Ora Solenne – 1889
L’alba del giorno 8 è spuntata. Incomincia il sordo rumoreggiare delle carrozze che recano i devoti dei vicini paesi. Arrivano altri pellegrinaggi; la calca ingrossa sempre più e fa pensare quanto sia angusto il tempio a capire tanta gente.
La Campana del Santuario suona a distesa. È giunta la vaporiera da Napoli. Ondate di fedeli si riversano nella Via Sacra: da ogni parte è un accorrere frettoloso alla Chiesa per avere il comodo di occupare un cantuccio invidiato. Ma innanzi che giungano essi il tempio è già gremito. La folla si riversa nella sagrestia, occupa il presbitero; e alcuni si aggrappano al davanzale e alle colonne della balaustra.
Su tutti i volti si leggono i segni della viva pietà, tutti gli occhi umidi di lacrime fissano estatici l’immagine della Vergine benedetta, che torreggia maestosa sul superbo trono che le ha innalzato la pietà dei suoi figli.
Incomincia il rosario. Tutti con la corona in mano pregano e sospirano a Maria. Stanno mescolati insieme con vera uguaglianza persone dell’infimo popolino e uomini aristocratici di storico casato.
Pregano tutti la stessa madre con la medesima preghiera.
Esce a celebrare la messa bassa il Padre Sisto Buonaura delle Scuole Pie, Direttore del Collegio Calasanzio in Napoli, uno dei più ferventi apostoli della devozione alla Vergine di Pompei. Il maestro Liucci tocca le prime note dell’armonio, l’arpista Signorina Annina Longobardi domanda alle corde suoni delicatissimi; e il canto delle orfanelle si leva a poco a poco con angelica melodia, si diffonde nelle sacre volte e domina l’immensa calca. Tra l’universale commozione e lacrime dolcissime si canta l’Ave e il Tota Pulcra, note composizioni del medesimo Liucci, Dopo breve ed affettuoso colloquio di apparecchio alla comunione, avviene un rimescolamento. Sono persone che tentano aprirsi la via per avvicinarsi all’altare. Quale soave conforto per quegli spiriti generosi, cui sta tanto a cuore la salvezza delle anime, il vedere così ammirabile fervore e ardente desiderio di ricevere il corpo santissimo di Gesù Cristo! Due sacerdoti non bastano a soddisfare la brama di tante anime, che anelano di inebriarsi alle dolcezze della mensa eucaristica.
L’altare fu bagnato di lacrime. Il trionfo della grazia era splendido. Quante anime, per le soavi attrattive della devozione di Maria, sono tornate in questi giorni pentite e fervorose al cuore di Gesù!
L’opera di Pompei produce veramente frutti di onore e di onestà. La santificazione delle anime è il più infallibile suggello di approvazione che la Provvidenza ha posto in questo luogo benedetto.
Terminata la messa, si leva una nuova melodia. È l’inno al glorioso Arcangelo S. Michele, parole del rev. De Bonis, musica del Liucci. Le orfanelle divise in due cori, che si alternano a debita distanza, producono un effetto stupendo. Nelle note dell’Inno si sente il fremito della battaglia angelica, il canto della vittoria, la prece confidente dei deboli e la formidabile potenza dell’Arcangelo.
Quindi il Liucci fa sentire i preludi di una sua nuova gemma musicale. È un Tantum ergo a stile classico tedesco, ma le cui note fremono celeste melodia tutta di sapore italiano. Le orfanelle lo eseguono a meraviglia.
Innanzi d’impartire la benedizione si recita la unanime preghiera, la Supplica. Il sacerdote dall’Altare ricorda agli astanti che in quella medesima ora da tutte le parti del mondo milioni di voci si levano a recitare la medesima Supplica, ed esorta tutti ad unirsi con lo spirito alla grande famiglia dei figliuoli di Maria, disseminati su tutta la terra.
Il sacerdote Giuseppe Morrone di Torre Annunziata legge dal presbiterio la Supplica con voce robusta e piena di sentimento. Secondo che si va innanzi in questo affettuoso grido dell’anima alla Vergine di Pompei, la commozione e le lacrime traboccano senza freno. Il momento è solenne e tenero ad un tempo. Migliaia di voci si levano con quella del sacerdote, e con una preghiera così potente assalgono il materno cuore di Maria. Là è una voce che si leva con enfasi procellosa, e viene meno dall’emozione; più innanzi il grido di persona che domanda grazia; qui è un’altra che, per grazia segnalata ottenuta, attesta con profuse lacrime la sua riconoscenza alla Vergine di Pompei.
Le ultime parole della Supplica si confondono con le grida, con i gemiti e con il pianto generale: e questa nuovissima e vivacissima espressione della fede cattolica nel Santuario di Pompei provoca ad un fremito di commozione anche il cuore del più beffardo osservatore.
Questa viva ed unanime manifestazione di fede non poteva finire senza richiamare l’intervento di una grazia straordinaria.
La cerimonia era appena finita, che alcuni, conquisi da quell’immenso ed irrefrenabile scoppio di sentimento religioso, furono travolti nella medesima commozione, e con segni di straordinario pentimento caddero ai piedi del sacerdote per riconciliarsi con Dio!
E forse fu questa la più grande grazia che in quel giorno e in quell'ora solenne abbia largita dal cielo la Regina delle Misericordie; e forse fu questo il più grande trionfo che abbia colto in quell’ora la Regina delle Vittorie, operando il grande miracolo della risurrezione spirituale di un’anima, il ritorno del peccatore alla famiglia dei Santi.
O giorno 8 Maggio, o pietosa e solenne manifestazione della misericordia di Maria, tu suonerai benedetto nel cuore di tanti fedeli che venuti a questa Valle provarono per te tenerezze ineffabili, e tornarono ai loro paesi con l’anima più pura, con la fede più gagliarda, con la devozione più fervente. La tua memoria scenderà dolcissima nell’anima di quegli avventurosi, che partirono da questa Valle beata riconciliati con Dio, e con il cuore affidato alla materna pietà di quella Madre benedetta, che ci ha dato in questi giorni tanta letizia. In tutti i tempi e in tutti i luoghi tu starai segnacolo esterno di salute, perché fosti scelto da Lei come rivelatore delle sue grandezze e della sua pietà a uomini peccatori; come testimonio a tutti i popoli della terra del nuovo e sublime apostolato, che Essa dovrà compiere all’età nostra, apostolato di perdono, di riconciliazione e di pace.
(Valle di Pompei, 15 Maggio 1889 - Avv. Bartolo Longo)
Presiede il Rev.do D. Errico Marano
Le Orfanelle della Madonna di Pompei nella festa del prossimo ottobre
Benedizione a Dio! Le orfanelle della Vergine di Pompei hanno oltrepassato il numero di sessanta.
Da oggi innanzi, quattro corone di anime candidissime, quattro generosi manipoli d’innocenti creaturine, alterneranno dinanzi al trono della Vergine cantici e preghiere per i loro pietosi benefattori. Sessanta voci, in date ore del giorno, si leveranno al cielo da questa Valle, e, come profumo d’incenso in odore di soavità, come fragrante olezzo di fiori saliranno fino al trono di Dio, e la rugiada delle grazie celesti discenderà copiosa a consolare la terra sitibonda (assetata) di conforto e di pace.
Il mistico giardino di Maria è compiuto! Valle di Pompei è un lembo di terra, sorriso da una primavera celeste, onde, mentre che al tiepido aere nel giardino del Santuario  invermigliano i fiori, sbocciano le rose e tutto ride di bellezza e di pace, un altro più prezioso giardino fiorisce di fiori più eletti in sessanta bambine, le cui anime, pure di colpa, alle dolci ispirazioni di una grazia superna si aprono alle più vaghe virtù, auliscono soave odore di preghiera, e formano in questa storica terra quanto di più bello, di più puro, di più consolante può immaginarsi.
Ma ciò che accresce la speranza e conforta l’anima di nuova dolcezza è il pensare, che una nuova corona di queste orfanelle, altre quindici di queste carissime bimbe, il giorno solenne della festività del Rosario faranno la prima Comunione. Le quindici bambine che nel passato anno ebbero la sorte di fare la prima Comunione nella festa del Rosario, rammentano con gratitudine e mostrano alle loro compagne i piccoli doni che da tante anime gentili si ebbero in quella occasione come ricordo della prima Comunione.
*Il Sei ottobre 1889
Il Santuario a mezzanotte
Per la sesta volta, in sei anni consecutivi, la voce autorevole del Rappresentante di Cristo ha suscitato nel mondo nuovo fervore e culto più splendido al Rosario di Maria.
L’ultima Enciclica del 15 agosto 1889 ha posto sul capo della Vergine una nuova corona: tutti i credenti hanno fatto eco a quella voce sovrana.
La volontà del Pastore Sommo della Chiesa è stata adempiuta. Se un uomo con la velocità dell’elettrico avesse potuto, il giorno della prima domenica di questo mese, correre tutta la vastità della terra<; tra il confuso accento di mille lingue diverse, avrebbe distinta sola una voce sollevarsi da ogni parte, reiterarsi uniforme: Ave Maria! La voce di un mondo intero sarebbe suonata al suo orecchio come unico inno: il Rosario!
Tanto è avvenuto. Ma ciò non reca meraviglia. La fede una ed universale, che guarda un uomo solo come capo, e quel solo quando parla è Dio sulla terra, generano così straordinari effetti di universalità, i quali indarno cercheresti tra le duecento Riforme Protestanti e le innumerevoli credenze dei popoli idolatri.
Il meraviglioso sta in questo, che in fondo di una Valle senza nome, inesplorata dai dotti, ignorata ancora tra le nazioni cattoliche, la fede di innumerevoli cattolici e la parola del Papa siano insieme convenute a dare il massimo splendore alla Corona di Maria, sacrandole non solo tutte le ore consuete della preghiera universale, che sono quelle del giorno, ma anche quelle della notte riserbate naturalmente al silenzio e al riposo.
Anzi di tutte le parti del mondo, solo in questa Valle il privilegio di perpetuare nella notte i cantici divini e gli osanna dei cuori alla regina delle mistiche rose.
Il primo sabato di ottobre, che per i figli del Rosario è il Sabato dei Sabati, apriva in questa Valle la gran festa del Rosario. Il continuo sopraggiungere di devote brigate popolarono, ben presto, le vie della rinascente Pompei e il Tempio della Vergine.
Si leggeva nel volto di ciascuno la serenità della fede, che vinca ogni disagio per appagare il voto segreto dell’anima anelante in questa vita mortale di congiungersi a Dio.
Chi in altre vigilie aveva pregato in questo Santuario, affrettava il venire della notte con l’impazienza di colui che va incontro a godimenti altra volta provati, i quali lasciarono nel suo cuore profonda impressione e nella memoria imperitura ricordanza.
Mentre che il tramonto del sole annunziava un annotare tempestoso, e violente raffiche di vento facevano presentire certa la burrasca della notte; l’aere buia era rotta da cantici di nuovi pellegrini che si riversavano sulla Via Sacra ad ogni giungere di treno. Alle otto e mezzo pervenne quello di Napoli a Valle di Pompei, recante una folla di devoti napoletani, che spontaneamente preferivano, agli agi della propria città, il vegliare una notte intera ai piedi di Maria.
L’ora nona della sera era designata al bacio della taumaturga Immagine.
Posta in mezzo ai figli suoi, che da tanti lontani paesi erano venuti per godere di quel momento tenero e solenne, pareva che sensibilmente Maria parlasse al cuore di ciascuno. E quando ad uno ad uno passando dinanzi a Lei, piegarono il ginocchio e baciarono devotamente il piede alla Madre adorata; non un ciglio rimase asciutto, non un volto che non si mostrasse commosso da un palpito di forte speranza in Colei, che a quell’ora dal Cielo guardava compiacente cotanta esuberanza di affetto.
E sospinti da una fede, che non può essere se non straordinaria, ciascuno passando toccava alla Immagine dell’amata Signora la propria corona, la medaglia, le foglie di rose benedette, e alcuni gli oggetti dei loro cari.
Alle 10 della notte si diede inizio al canto solenne dell’Uffizio del Rosario.
Lo splendore di cento lumi mutò d’improvviso il tempio e l’altare come una visione d’incanto. Il presbiterio si vedeva gremito di Sacerdoti parati a funzione, che, emulando gli Angeli assistenti al Trono di Dio, intonarono le salmodie divine: alle quali rispondeva l’eco prolungato di cento voci di fedeli, venuti, senza nessun accordo, da vari punti d’Italia, di Roma, di Firenze, di Siena, di Padova, di Palermo, di Napoli, di Salerno, di Bari, di Foggia, di Livorno, di Genova e di altre città che ebbero qui, in quella sacra notte, gli avventurati rappresentanti.
Di fuori del Tempio, tenebra e silenzio mortuario, rotto di quando dallo scroscio della pioggia. Di dentro, luce viva e cantici e rapimenti di mille cuori a Dio esprimenti la tenera gratitudine per tanta misericordia discesa dal cielo al secolo nostro.
Quella notte era una figura di quanto qui succedeva: di fuori, la terra Pompeiana con i suoi famosi ruderi pagani, muta, silenziosa, avvolta nelle tenebre della morte, nella caligine dell’errore: di dentro, luce soave delle grazie celesti, che ravviva e letifica le anime raccolte a preghiera ai piedi dell’altare di Maria.
Due ore durò quel canto con le lodi all’Altissimo. L’orologio del Santuario suonò l’ora della mezzanotte.
Era l’ora aspettata da tanti figli del Rosario sparsi nel mondo, i quali sorgendo dal notturno riposo, avrebbero con un solo coro risposto all’Angelico saluto intuonato nel Santuario di Pompei.
Al salterio dei Sacerdoti rispose il Salterio del popolo, il Salterio di Maria.
Il fervoroso oratore Don Errico Marano si volge ai fedeli dal sommo dell’Altare, ed esclama: - Fratelli, è mezzanotte! Incomincia il giorno solenne della festa di Maria. In questo momento raccogliamo tutti i nostri sospiri, tutti i voti che abbiamo portati nel cuore dalle nostre case, dalle nostre famiglie, e presentiamoli a Maria insieme con questa corona che ora le consacreremo. La Vergine da questa sua Immagine ci aspetta e ci guarda; e fra poco stendendo verso di noi la sua mano, raccogliendo la nostra corona, raccoglierà anche i nostri desideri e i nostri bisogni. Raddoppiamo il fervore nel salutarla con il Santo Rosario. Preghiamo per noi, ma raccomandiamo anche tanti fratelli lontani, che ci invidiano quest’ora benedetta, in questo tempio, ai piedi di questa Madre…
E le 15 decadi del Rosario furono ad alta voce e con fervore di spirito inenarrabili recitate nella “prima ora dei trionfi di Maria”.
Chi può descrivere gli interni affetti di ciascuno che ebbe l’avventura di trovarsi nell’ora di mezzanotte nel Santuario di Pompei?
Tra queste mura benedette non può negarsi che l’animo non si faccia sopra di sé maggiore: lo spirito qui s’innalza sopra tutto che è creato per avvicinarsi a Dio, la cui presenza qui si fa sensibile, e pare che attragga tutto a sé l’uomo che prega.
Terra di famose rovine e di osceni culti pagani; oggi è fatta segno di misericordia e di bontà divina!
La nostra parola diventa piccola a significare quanto di bello sovrannaturale circonfuse quell’ora della mezzanotte, e quanto l’animo degli eletti veglianti si sollevasse da questa bassa regione per innalzarsi ad una sfera che non è la terra. Avremmo bisogno di una frase, di un accento che sapesse di Dio, di una parola la quale, mentre che suona all’orecchio e rompe l’aria materiale di quaggiù, come è la parola dell’uomo, fosse il segno e l’espressione di un pensiero che non è umano. Vi vorrebbe la cetra ispirata di un Profeta: essa sola potrebbe far sentire quella nota, che pur penetrando nell’animo umano vi infonde un sentimento celeste.
Il sovrano cantore di Palestrina ritrae in un verso l’effetto verificato qui, in questo Santuario visitato dalla presenza di Maria, nell’ora della mezzanotte. – E la notte, egli dice, sarà illuminata come il giorno…, e il giorno rifletterà la luce di quella notte… perché le tenebre non sono oscure per Dio. La notte nel Santuario di Pompei è luce di meriggio, perché lo stesso Sole di grazia, Marta, che il giorno risplende, nelle ore della notte dà più soave splendore.
Pellegrini, che traeste ai piedi della Vergine in questa Valle, voi meglio di me potete narrare ai vostri amici, ai vostri concittadini, ai vostri familiari, quello che provaste in voi stessi in quell’ora beata. Voi meglio di me saprete ridire quale luce di amore si riversasse sull’animo vostro dalla luce serena di confidenza e di benignità che pioveva dagli sguardi di Maria nell’ora di mezzanotte.
Sembrava quella effigie come persona vivente, cole la persona della Madre nostra che è nel Cielo, venuta nel suo caro Santuario a salutare ed inebriare di celeste letizia i figli suoi qui raccolti da lontano. Come volarono in un baleno quelle cinque ore che insieme con me pregaste tra queste mura benedette!
Dalle 10 della sera alle 3 del mattino, fu un rapido succedersi di preci, di canti, di benedizioni, di comunione con Dio. L’amore fa sembrare breve ogni tempo. E l’amore di Maria fece in questo Santuario sembrare un sol momento le ore della notte nella santa vigilia dei primi secoli della fede.
Ad un’ora dopo la mezzanotte entrò il Sacerdote per il divino sacrificio.
Ed un suono flebile e delicato di arpa, che pareva piovesse dalla sommità del monumento, dava una melodia misteriosa, angelica, che a quell’ora ricercava i cuori mossi a pietà indefinita.
Seguirono pubblicamente le preci e meditazioni della festa del Rosario. Cento e cento voci facevano risuonare le volte del tempio di novelle benedizioni alla celeste Regina. La Novena di ringraziamento alla Vergine di Pompei fu pure la prima volta qui recitata per contraccambiare la clemente nostra Madre, almeno con le lodi, di tante grazie che Ella ha dispensate al mondo in tredici anni da che ha avuto origine questo Santuario. E poi una Comunione frequentissima, onde a cento a cento venivano i figli a prendere il pane della vita dalla mano della comune madre, la quale sembrava dal suo trono invitasse ad accostarvisi. Si sentiva da ognuno come la mano di Maria si posasse sul cuore e lo invitasse con quelle bibliche parole: - Figlio, vieni a mangiar del pane della Madre tua!... E tutti infine fummo benedetti e dalla Madre e dal Figlio.
In quel punto il nostro pensiero volò al passato. Iddio benediceva i figli suoi a quell’ora inconsueta in questo luogo, sul quale, due lustri innanzi, di tanto splendore non vi aveva pure il vestigio. – Tredici anni erano passati dalla prima ora che segnò la misericordia di Dio sulla terra di Pompei. Dopo tredici anni Iddio benediceva l’Opera sua, già divenuta gigante, in un’ora solenne, in cui tutta la natura giace nel riposo. Giudizi investicabili di Dio!
In quel punto tutto il passato si fece a noi presente, ma con tenue vista, come visione di un passaggio al chiarore della luna.
I dolori e le amarezze sofferte, le contraddizioni cui fummo fatti bersaglio, i giorni passati in angustie e in trepidazioni, non erano più!... anzi, dirò, la loro memoria veniva vestita di consolazione.
Tutto era sparito, tranne una cosa, una cosa sola, che come Sole stava dinanzi agli occhi nostri, e con il fulgore dei suoi raggi faceva impallidire tutte le passate memorie: - È il Tempio di Maria che sta.
Maria è glorificata in questo Tempio!
Benedetti gli affanni! Benedette le pene! E benedette le guerre che ci hanno fatto gli uomini! E Dio, nel perdonarli, possa concedere loro la grazia di venire qui a dividere con noi le gioie di quell’ora benedetta.
*Il Santuario a mezzogiorno del 1889
Alla notte, trascorsa tutta in preghiera ed in Sacrifici divini, successe il gran giorno di Maria.
Nonostante il tempo ancora minaccioso, il mattino della domenica prima di ottobre vide arrivare a questa Valle nuove comitive devote, accorrenti alla solennità ordinate in altri pellegrinaggi.
Tra la moltitudine affollata in Chiesa si udiva il fervido mormorio delle preci e la recitazione del Rosario a voce chiara. In alto si levava la venerata immagine di Maria sfolgorante di luce e fatta segno a tutti gli sguardi, a tutti i desideri di tanti suoi figli.
Venne l’ora della funzione. Il canto delle orfanelle si leva tra la dolce melodia dell’arpa e dell’armonio, ed eccita soavemente nei cuori emozioni ineffabili.
La prima comunione di quindici orfanelle infiora l’ora più bella della festa del Rosario. Maria, Madre degli orfani, fa parte del frutto immacolato del suo seno alla innocenza abbandonata, la quale fa corona al suo Trono. La Rosa purissima del Cielo gode in mezzo a quei gigli di anime innocenti, che per la prima volta accolgono in seno il Giglio del Paradiso.
Un popolo immenso disposto a compunzione dalla parola calda ed eloquente del celebrante D. Errico Marano, si accosta alla Mensa di Dio.
Ma l’ora del mezzogiorno è vicina. È l’ora in cui, può dirsi, tutto il mondo è in preghiera.
Da tutte le parti della terra, dove arrivò la fame dei prodigi della nostra Signora di Pompei, i cuori si rivolgono a questa Valle e si preparano alla recita di quella Supplica che Maria con i portenti ha dimostrato esserle tanto accetta.
Ma noi fummo i primi, come capo di una colonna che si distende fino agli ultimi confini del globo.
Con la corona in mano, la Supplica nell’altra, ci unimmo con i fratelli lontani a formare un coro interminabile, che rispose da questa terra a tutte le gerarchie degli angeli, i quali in quell’ora festeggiavano pur essi nell’empireo la loro e nostra Regina.
Levammo tutti la voce come un solo grido alla regina del Rosario della Valle di Pompei. (Avv. B.L.)
Presiede l’Ecc.mo Mons. Sanfelice - Cardinale di Napoli
Valle di Pompei nella vigilia delle grandi feste di maggio 1800, era un nuvoloso lunedì del mese di novembre, 1885, quando solitario e sconosciuto venni, la prima volta, in Valle di Pompei.
Questo Periodico era entrato nel suo secondo anno di vita; e alla lettura di ciò che in esso si narrava di un quadro miracoloso della Vergine del Rosario, e di grandi opere salutari iniziate in questa Valle, già tanto squallida e disprezzata, anch'io mi sentii sospinto a venire qui, per cogliere le più sicure notizie e per implorare, su questo luogo stesso che si diceva privilegiato da straordinaria protezione di Maria, la continuazione l'accrescimento all'anima mia delle sue tenerezze materne. Le impressioni che, umile pellegrino, provai in quel giorno e nelle due settimane successive che qui mi trattenni, poco dopo, scrissi su questo Periodico, senz'altro desiderio, senz'altro fine che di rendere francamente, sinceramente, omaggio alla verità. E in contemplare, allora, le scabre e disadorne pareti di questo tempio, ed i preludi, che già apparivano delle diverse opere caritatevoli e civili, donde era lecito divinare un grandioso concetto della Provvidenza, io conclusi con questo voto, a cui il cuore di un cristiano non poteva sottrarsi: «Venga presto quel giorno, nel quale pieno e solenne sia il trionfo dell'Immacolata su questa terra, dove il serpe antico, un tempo, piantò senza contrasti, l'esecrato suo trono!>
Oggi, o beata Valle di Pompei, io nuovamente a te mi rivolgo con gli Occhi e col cuore; ma il cuore manda palpiti, non più di speranza, ma di profondo gaudio; e gli occhi si disciolgono in un pianto irrefrenabile di riconoscenza a Maria.
Presso l'arsa collina di Pompei, fiorisce, ogni di più, come giglio.
Fra i rovi, la città di Maria; e il tempio augusto, ove ella siede vittoriosa regina, si manifesta allo sguardo dei credenti simile alla colonna di luce, che fra le asprezze del deserto e nel buio della notte, illuminava Israele e lo guidava dal paese delle schiavitù a quello della promessa felicità, ed anche qui un popolo redento dal selvaggio del vizio e dell'ignoranza procede dietro quella luce, alacremente, per le vie della religione e della civiltà; anche qui largamente piove la manna della carità sulle creature più misere e più care della terra che più non hanno sostegno di genitori; e qui ancora zampilla, non da sassi, ma dal cuor di Maria la fonte, che disseta le anime anelanti di grazie, di pace e di sovrumani conforti. E veramente chi si faccia a considerare i favori celesti e terreni, onde l’Opera di Pompei fu impreziosita, massime in questi ultimi anni, ed i larghi beni che da essa, fin dai primordi, ed al presente, più che altra volta mai, derivano ad ogni genere d'individui, cosi nell'ordine morale come nel materiale, non potrà non riconoscervi un sublime consiglio di Provvidenza, che sforza la mente all'adorazione.
Di questo consiglio, man mano che si rivela, si deve da noi tener conto, per studiarci di conformare ad esso la nostra mente e le nostre operazioni, finora due lembi del grande arcano sono squarciati.
Il primo ci fa manifesto che accanto ai ruderi della catastrofe pompeiana risorga la Pompei nuova, la Pompei del santo Rosario, e florida d'immortale giovinezza entri, sul declinare del secolo XIX, nel novero delle città italiane.
Il secondo, che il Santuario di Pompei abbia destinazione e carattere non circoscritti da limiti regionali o peninsulari; ma li abbia vasti quanto la terra, di guisa che ad esso si convenga, e per il concorso di tutti nell'edificarlo e per copia di benefici che tutti ne ricevono, il titolo di Santuario mondiale. Ma è poi vero che qui risorga la nuova Pompei?
Chi sappia qual fosse questa Valle, non più che un decennio fa, ed ora torni a rivederla, non potrà dubitarne. Nell'ampia zona, dove Ora sono eretti maestosi palazzi, aperte piazze e vie, e costruite case operaie, e fontana, e ufficio postale, e telegrafo, e ferrovia, ed Orfanotrofi, ed osservatorio astronomico, e tipografia, ed alberghi, e tempio, non vi erano, dieci anni fa, che tre o quattro miserabili casucce, e non vegetavano che lupini, rape, ed ortiche. Qual tocco di fata trasmuto questa terra dalle tenebre alla luce, dall'obbiezione alla gloria, dalla morte alla vita? Chi la rese civile e bella ed obietto alle genti di desiderio e d'indomabile amore?
E dovrà poi dubitare un cristiano che un'opera cosi stupendamente intrapresa e che così rapidamente progredisce per virtù di fede e di amore, non sia dalla fede e dall'amore condotta a termine, con uguale rapidità e con risultato pari alla grandezza e potenza della Causa?
Ne può dirsi che i nuovi edifici e le nuove case siano eretti a scopo di diporto o di precaria dimora, di guisa che perduri tu tuttora in questa Valle l'antica rozzezza e scarsità di abitatori. No: deve anzi affermarsi, per onore del vero, che il materiale risorgimento, già si vasto e radicale, è superato di gran lunga dal risorgimento morale degli indigeni, antichi e nuovi. La fede in Gesù Cristo e l'amore alla Madre di Gesù Cristo operarono questo prodigio ancor più meraviglioso; ed è un atto incontestabile che, accresciuta la popolazione, in un confronto di qualche anno indietro, di oltre due migliaia e mezzo di anime, essa vien educandosi, indefessamente, alla sobrietà, al lavoro, all'amore del prossimo, ad ogni religiosa virtù. Dal nuovo ordine di cose e qui fu creato, essa, per la maggior parte, riceve il pane al corpo ed allo spirito; e s'ingentilisce, si nobilita, si accostuma a rettitudine, a pietà; dimenticando per sempre le nauseanti tradizioni di un'epoca remota, quando non era possibile penetrare in questa Valle senza esser conturbati dalla vista di mille nauseanti miserie, o senza trepidare che ladroni in agguato, a cento passi dal luogo dove oggi tranquillamente scrivo, cacciassero, come non di rado usavano, il ferro nella gola dei viandanti. Davanti a questa realtà di fatti, rispondano gli uomini di qualunque condizione, di qualunque partito, di qualunque credenza, se sia piccolo e poco il bene sinora compiuto nella Nuova Pompei, se possa revocarsi in dubbio il suo progressivo sviluppo, e se esso non sia tale da permettere di vaticinare. con buono e saldo fondamento, che, sullo scorcio del secolo decimonono, quest'umile Valle occuperà il suo nobile posto fra le vaghe città del bel paese.
Ma l'opera che, fra tutte le altre, qui brilla come un sole fra gli astri minori, è il tempio del Rosario; questo tempio a cui han posto mano il cielo e la terra. Questa frase che il divino Alighieri attribuì al suo immortale poema, si addice, ancor più esattamente, al tempio di Pompei. Anzi, se chiamano poema la narrazione di un
fatto sublime e meraviglioso, questo tempio che in sua favella racconta stupende misericordie di cielo e magnanime virtù umane; che in ogni pietra, in ogni quadro e particolarmente nel trono di Maria rivela un prodigio d'amore; che, nel giro di tre anni, accolse nel suo grembo i sospiri, le preci, le lagrime di popoli venuti da tutte le parti della terra; che ora, con inusitato privilegio, passa sotto l’immediata dipendenza e protezione del Vicario di Cristo; questo tempio è esso medesimo un grandioso poema di fede e di carità. Straordinaria fu la sua origine, straordinario l’incremento, straordinario il suo destino; e quando i posteri potranno abbracciare d'un solo sguardo la vasta tela delle meraviglie che in esso e per esso si compiono a redenzione e salute del mondo, invidieranno, ne siamo certi, la fortuna di quelli che, al presente, ne sono spettatori; e forse giudicheranno con minore severità l’epoca nostra, nella quale, malgrado le sue grandi aberrazioni, non è ancora diminuito l’ardore per il bene, né impallidita la fiamma della generosità e del sacrificio.
Grandi, terribili, fatali furono certamente le battaglie e le pene, qui dove ora s'intona l’inno della vittoria; ma non meno grande e continuo e pietoso fu l'ausilio del cielo. Che non basta, a compiere le opere di Dio, avere in petto il coraggio degli apostoli e l’incrollabile costanza dei martiri, se Egli stesso non dirige, non sostiene, non benedice con la sua grazia. Ma questa grazia Iddio, dà tesori di sua clemenza, qui si degna, per mezzo di Maria, largire, oltre misura. E certo, creando una nuova vita qui presso immensi vestigi di una lacrimevole distruzione, volle ricordare ai figli del secolo decimonono che Egli solo è colui che atterra e suscita, che affanna e che consola; forse volle ancora, con voce insolitamente gagliarda, ammonire la crescente generazione che la fede in lui, lungi dall'essere sospettosa e nemica di civiltà e di progresso, ne è anzi la prima e più fervida animatrice; e volle infine insegnare che chi brami, fra le tempeste del mondo, pregustare le gioie dell'eternità, debba chiederle a lui solo, amico, padre e fonte di ogni bene, e ritrovarle soprattutto nel santo amore di lui e del prossimo.
E qui invero, o Maria, ai piedi del tuo trono e sotto le auguste volte di questo tuo angelico tempio, io sento che i sospiri dell'anima a Dio ed a te non potrei frenarli, senza dolore: che i vincoli che a Gesù ed a te mi stringono non potrei rallentarli, senza rovina. Ma lieve e dolce s'innalza, in guest ora, un cantico, come melodia di arpe toccate in cielo.
Sono le orfane di Pompei settantacinque fanciulle qui ricoverate sotto il tuo manto che cantano soavemente così, come forse in Paradiso gli angeli sciolgono a piedi tuoi concenti d'amore. Oh! è impossibile dimenticare il canto supplichevole di queste innocenti bambine, rischiarate nel volto da una fiamma che ad esse imprime la fisionomia degli angeli; e le cui purissime note, insinuandosi nel più intimo degli animi, sforzano a versare torrente di lacrime. Esse ripetono l’inno che io scrissi per l’ora.
E che un cieco rese sublime disposandolo alle più tenere armonie.
Vieni, o Celeste; e ai fulgidi d'amor tuoi sacri lampi d'Opere e virtù magnanine l’italica terra avvampi - E in questo tempio ai popoli - nuovi prodigi effondi, - sì che la grazia abbondi dove abbondò l'errore!
Chi dei miei cortesi lettori non farà un voto, perché questa preghiera abbia il suo pieno adempimento?
                Valle di Pompei, 25 Aprile 1890
                                                                                     Arcip. Giuseppe De Bonis
*Programma delle feste di maggio 1890
Le feste di maggio del 1890, non altrimenti che tutte le altre dei passati anni, saranno la più viva espressione del principio che inanima tutte le nostre opere: val quanto dire con la Scienza e con l’Arte: affratellare la Fede con il civile progresso; congiungere congiungere l’amore verso la più sublime creatura uscita dalle mani di Dio, qual è la Vergine Maria, con l'amore verso le più infelici creature diseredate del bacio materno, quali sono le innocenti orfanelle abbandonate.
Le feste che han luogo nella rinascente Pompei, chi non lo sappia, non sono né gli onesti spassi popolari, né la gazzarra plebea di grossolani e rumorosi sollazzi; ma sì un punto di fermata nella rapida via del progresso civile e religioso una città che risorge, e, per valermi di una felice espressione del Lacordaire, una tappa nel cammino che qui fanno d' accordo Civiltà e Religione.
Religione e Civiltà, d' accordo sempre nei loro ammirabili intendimenti, di produrre cioè la prosperità morale e materiale delle classi, non che agiate, delle indigenti, di volare al soccorso della debolezza, e di curare l’educazione dell'innocenza abbandonata, d'incoraggiare le arti, di classi di estendere i rami della beneficenza alle varie classi dell’umanità miserevole; ecco il concetto che informa tutto il movimento delle nuove cose, le quali apparecchiano la Nuova Pompei; ecco il concetto che informa qualunque nostro programma, vuoi di novelle istituzioni, vuoi di feste.
Feste civili dunque e religiose insieme saranno quelli, che celebreremo in questo anno di salute 1890.
Le feste di maggio del 1890 spiegheranno al mondo civile del Secolo XIX in qual modo noi professiamo il Culto religioso, quel Culto che S. Paolo chiamava ragionevole: ration abile obsequium vestrumn, cui Cristo medesimo nobilitò facendolo degno dell'umano spirito, quando disse: - Pregate in spirito e verità.
Agli 8 maggio del 1890 si compiono quattordici anni da che ebbe inizio quest'Opera di Pompei, divenuta improvvisamente mondiale. In quel giorno spunterà l'aurora dell'anno XV, il quale andrà svolgendo nei avvenimenti l'ultimo dei cicli che nei quindici misteri del Rosario racchiudono l’apoteosi della Regina dei Cieli.
L'anno XV irraggerà su questa classica terra di Pompei nuovi splendori di fede e di civiltà. La grandezza del presente è affermata dalle memorie del passato, e si sublima sicura nei ragionevoli presentimenti dell'avvenire.
Richiamate alla mente i ricordi del passato, e comprenderete la ragione e il carattere di quanto si compie oggi in questo nuovo movimento di vita civile e religiosa che sorge in Italia.
Oggi nei fatti della nuova Pompei si riscontra un passato luminoso, che si suggella nella gloria del presente; e la gloria del presente spande intorno a sé cosi viva luce, che ci fa vedere chiaro ciò che domani sarà. Ecco l'indole delle feste della Nuova Pompei.
Il prossimo maggio dirà al mondo, che la Nuova Pompei non è più un'aspirazione di arditi sognatori, ma un fatto che col cadere del presente secolo, avrà indubbiamente il suo ultimo compimento. Il secolo che muore è da alcuni giudicato secolo di rovine.
Non è tutto vero. Le grandi rovine hanno preparato il terreno a grandi ricostruzioni. E quando il secolo nostro cadrà nella notte del tempo, in quell'ultimo giorno che darà l'eterno addio al mondo, tra i bagliori sinistri delle scelleraggini sociali, tra i fulgori d'inauditi progressi dello spirito umano, tra funeste rovine e splendide riedificazioni, apparirà, circonfusa di una luce celeste che pioverà pace sulle generazioni agitate, una Pompei cristiana! La quale si inglorierà nella storia per aver lasciato di fronte alla Pompei pagana, segno di lacrimabile desolazione e di amaro rimpianto per la dovizia delle arti belle, un'Arca di risurrezione , segno di universale speranza, palladio di civiltà più pura e più sublime, ricettacolo di arti belle e di progressi civili, i quali vinceranno l'antica Pompei, come lo spirito vince di pregio e di nobiltà la materia.
Nel corso dei tre ultimi anni i progressi della Pompei nuova sono stati meravigliosi. E mentre che nelle prossime feste saluteremo le opere già compiute e ne inaugureremo di nuove, l’occhio della mente, tra il passato e l'avvenire, vede il presente come punto di transizione, come passaggio ad un altro stadio glorioso in cui canteremo le gioie del lavoro compiuto.
*La Supplica dell’8 maggio 1890
Solenne anniversario dell'Edificazione del Santuario di Pompei, dell'Incoronazione della Taumaturga Immagine, della Consacrazione del primo altare ed elevazione del monumento alla Regina delle Vittorie sulla terra di Pompei.
Ore 10 a. m., recitato in Chiesa pubblicamente; il Rosario, l'Organo farà sentire il pieno dei suoi cinquanta registri e delle sue duemila e cinquecento canne. Chi sarà presente giudicherà se il fatto, come noi siamo sicuri, risponderà alla grande espettazione.
Seguitando le dolci melodie dell’organo, entrerà la messa bassa; in cui sarà fatta la Comunione Generale con colloquio del Rev. Sac. D. Errico Marano di Napoli.
Esposto il Santissimo, verrà da tutti cantato solenne Te Deum per ringraziamento a Dio di quante grazie ha concesso al mondo per intercessione della Vergine di Pompei dal primo giorno della edificazione di questo Tempio fin oggi, e segnatamente dell’ultima grazia in virtù della quale il Papa Leone XII, concorrendo al maggiore splendore della Vergine del Rosario, ha elevato il Santuario di Pompei dinanzi a tutte
le chiese del mondo col porlo sotto la sua diretta ed immediata protezione.
All'ora di mezzogiorno sarà pubblicamente recitata la Supplica alla potente Regina del Rosario di Pompei, a cui faranno eco da migliaia di Chiese, di Cappelle ed oratori lontani mille e mille voci di fedeli in diverse lingue, che insieme con noi e con la medesima preghiera invocheranno la comune Madre e Regina.
La solenne benedizione di Gesù in Sacramento raffermerà la copia delle grazie, che la sua Divina Madre avrà in quell’ora per noi impetrata. L'Em. Cardinale di Napoli interverrà alla recita della comune Supplica, al Te Deun e alla Benedizione. Compiuta la funzione del mattino, saranno celebrate altre messe sino alle 2 p. m. nel qual tempo un valoroso organista ripeterà dolcissime melodie sull'organo. A questo modo quelli che non hanno potuto sentire il grandioso istrumento lo potranno, a loro agio, gustare nelle ore dopo il mezzogiorno.
*Treno speciale straordinario per l’8 maggio.
Per dare agio a tanti accorrenti di udire nella seconda ora l'organo orchestrale, abbiamo chiesto alla Direzione delle Ferrovie un treno speciale straordinario.
Partenza da Pompei alle ore 8,50 a. m. Ritorno da Valle di Pompei per Napoli alle ore 3 p. m.
*L’altare in mezzo alla Piazza della Nuova Pompei.
Per somministrare maggior comodo a tutti, e non far mancare la messa di precetto in quel mattino degli 8 di Magio a quei che non possono entrare in Chiesa o che giungessero tardi, sorgerà nella piazza della Nuova Pompei un Altare eminente, sul quale verranno celebrate varie messe dalle ore nove sino a mezzogiorno.
E così si ripeterà lo spettacolo di cui fu testimone cielo e terra nell'8 maggio 1887, quando questa piazza, queste vie, questa Valle si videro gremite di quindicimila persone, le quali davano figura delle turbe di popoli interi che seguivano Gesù in Palestina, e attingevano dalle sue labbra divine le parole di vita, di fratellanza, di pace.
Presiede S. Eminenza Reverendissima Cardinale Consacratore Raffaele Monaco La Valletta
Dopo essere stato salutato nelle Stazioni di Frosinone, di Cassino, di Teano, di Capua, di S. Maria, giungerà il convoglio a Caserta alle ore 12,56 p. m.; ove l’Augusto Porporato, che alle virtù personali che lo rendono degno di ogni venerazione ed affetto, accoppia gli altissimi uffici di Penitenziere Maggiore e di Decano del Collegio Apostolico, sarà fatto segno agli omaggi di quel Clero, di quel Vescovo, di quella colta cittadinanza. Quindi all'1.40 p. m. muoverà per la linea Vesuviana, toccando Marigliano, prima città della diocesi di Nola, nel cui perimetro si trova il Santuario. Qui, abbiamo saputo, sarà salutato dalle Scuole, dagli Asili infantili e dalle rappresentanze del Municipio e del Clero. Quindi passerà per Ottaviano, S. Giuseppe, Boscoreale, ricevendo omaggi, e impartendo dappertutto la pontificia benedizione. Giungerà alla Stazione di Torre Annunziata Centrale alle ore 3,30 p. m., dove il Municipio e il buon popolo di Torre Annunziata, con a capo la banda cittadina, faranno le più festose accoglienze a quel santo Cardinale che è il Protettore e il Capo del Santuario mondiale posto nel perimetro comunale di Torre Annunziata.
Da Torre Annunziata Centrale, apposite carrozze private trasporteranno a Valle di Pompei l'augusto Principe della Chiesa con la sua corte e il seguito. A vista del Santuario, l'Eminente Porporato sarà incontrato da una lunga processione formata dal Clero di Torre Annunziata, dal Clero di Scafati e dal Clero di Valle di Pompei con a capo l’Ecc. Vescovo di Nola Mons. Agnello Renzullo seguito da tutti gli officiali del Santuario, dalle nostre Guardie Particolari, dalle Guardie di Scafati e di Torre Annunziata, dalla Banda musicale di Scafati, e da più che quattrocento artisti ed Operai cui il Santuario somministra pane e lavoro.
Quattro anni addietro, nello stesso giorno, quello stesso Venerando Principe della Chiesa di Cristo varcò la soglia di questo Santuario, nella semplice qualità di Cardinale delegato dal Sommo Pontefice Leone XIII ad incoronare la Taumaturga Effigie della Vergine Pompeiana.
In capo a quattro anni, quel santo Porporato incoronatore della Vergine, ritorna per più alto ufficio e con più eminente dignità: ritorna per dedicare alla Vergine, da Lui Incoronata, il Suo diletto Santuario: ritorna come Capo di quel Santuario, che forma la parte più cara del cuore di Leone XIII. Ricevuto in chiesa col canto delle orfanelle, l’Eminente Protettore assisterà alla cerimonia di rito.
Vescovo di Ostia e Vellecri, Decano del Sacro Collegio, Penitenziere Maggiore, Prefetto della Sacra Congregazione Ceremoniale, Presidente del Consiglio centrale della Propagazione della Fede, Segretario della Suprema Congregazione, Arciprete della Patriarcale Arcibasilica Lateranense, Protettore del Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri di Malta, dell'Ordine dei Cappuccini, dell’Ordine di S. Camillo de Lellis ecc. ecc. Protettore del Santuario di Pompei con amplissime facoltà giurisdizionali, Delegato a rappresentare il Sommo Pontefice Leone XIII nella Dedicazione di questo tempio papale mondiale, muoverà col Treno diretto da Roma delle ore 8.5 a.m. martedì, 5 maggio, per la volta di Valle di Pompei, percorrendo la linea Vesuviana. L’Eminente Principe della Chiesa di Cristo verrà accompagnato dalla sua corte e dal seguito composto dei seguenti illustri personaggi: - Ill. e Rev. Mons. Alessandro Avv. Carcani, Protonotario Apostolico, Segretario Assessore della Sacra Visita Apostolica, Canonico dell'Arcibasilica di S. Giovanni in Laterano e Vicario per il Santuario di Pompei; il Rev. D. Giuseppe Lauri Maestro di Camera ed il Rev. D. Giuseppe Rossetti Caudatario dell'Emin. Cardinal Monaco: l’Ill. e Rev. Canonico Storti, suo Vicario di Ostia; l’Egregio Cav. Salvaggi, Gentiluomo dell'Emin. Cardinal Monaco: l’Ill. Mons, Togni Cerimoniere dell’Emin. Monaco; l’Ill. Mons. Sinistri Prefetto delle Cerimonie Pontificie; S. E. Rev.ma Mons. Tancredi Fausti Arcivescovo di Seleucia, Segretario della Congregazione de’ Brevi; l’Ecc. Mons Antonio Maria Grasselli dei Minori Conventuali, Arcivescovo di Colossi, già Delegato Pontificio in Costantinopoli, Segretario della Visita Apostolica e Prefetto degli studi a Propaganda; e con essi l'illustre astronomo P. Denza, Direttore dell’impianto della Luce Elettrica in Valle di Pompei.
L'8 maggio 1891
 
La grande giornata del Calendario della Nuova Pompei sorse finalmente redimita di gloria e di luce soprannaturale. L'alba dell'otto maggio fu salutata da tutti i figliuoli della Vergine di Pompei, da quei raccolti qui a piedi del Suo trono, e da, quanti si trovavano disseminati in tutte le regioni della terra. Il giorno, che segnava provvidenzialmente compiuto l’Anno Quindicesimo, spuntò tra le benedizioni dei credenti, tra l'esultanza della Chiesa Militante, tra i cantici devoti di altri pellegrinaggi che all'alba giungevano al Santuario. Che fede mostravano tutti, che giocondità di animo traspariva dal volto degli ultimi arrivati! La meta era stata raggiunta; e benedicevano a Dio che aveva dato loro di trovarsi a pregare, in quel giorno memorabile, nel Santuario consacrato il giorno innanzi e ancora olezzante soavemente del balsamo del sacro crisma di cui furono unte le colonne durante la solenne cerimonia.
 
Dalle prime ore del mattino il Santuario rigurgitava di fedeli, che a ondate entravano e uscivano. Alcuni di costoro, a cui non pareva vero di trovarsi a piedi del trono della prodigiosa Regina, stavano come assorti nella contemplazione delle venerate sembianze, e con l’anima tutta sulle labbra pregando e supplicando per sé e per quelli lasciati lontano nelle tranquille dimore dei loro paesi e dei loro monti. E tuttoché avessero passata l’intera notte in Chiesa, non accennavano a uscire, non sapevano staccarsi da quella Madre tenerissima, che tanta consolazione dava in quelle ore alle loro anime.
 
Sono le ore nove e mezzo antimeridiane. L'arrivo del treno da Napoli riversa allo scalo ferroviario nuove schiere di devoti: cresce il rimescolio nelle vie della Nuova Pompei al sopraggiungere di numerose vetture da vicini paesi, che scaricano altre migliaia di persone.
 
Per sopperire alla straordinaria popolazione, avevamo eretto il giorno innanzi, in una sala delle nuove fabbriche, una Cappella temporanea per dar campo al popolo, che non poteva durare a stare pigiato nel Santuario, di soddisfare al precetto religioso della festa.
 
Il Santuario presentava in quel giorno l'aspetto delle grandi solennità che sono pure un avvenimento della chiesa universale.
 
La grande nave e le cappelle al tutto piene di gente, varia di paesi, di accento, di vestimento, ma una nella fede, una e concorde nell’affetto a Colei che dall'alto del suo trono chiama ai suoi piedi i figli lontani, e imbandisce la mensa della vita e del celeste refrigerio ai cuori abbattuti dalle avversità, e recentemente sciolti dai legami della colpa.
 
Il Presbitero, come nella scorsa notte, accoglieva un manipolo di prelati e sacerdoti, tra i quali spiccava la veneranda figura dell'Em. Protettore del Santuario di Pompei, il Card. Monaco La Valletta. IL Rosario questa volta aggiunse nuova gloria a passati trionfi.
 
Cominciata la Messa dell'Em. Protettore, il maestoso organo plurifonico apre i suoi fianchi poderosi nell'ambiente del tempio, spande le sue onde armoniose; mentre la voce di settantacinque orfanelle sale a poco a poco dagli assolo acutissimi ai pieni corali, dalle volate carezzevoli alle dolcissime distese di quelle vocine, che ricercano soavemente il cuore e provocano più fervido il sentimento che accompagna la preghiera, e diffondono nell'anima una sovrumana ebbrezza, che fa dimenticare le tristezze della vita.
 
Questo è l’effetto che produce in tutti il canto delle Orfanelle della Vergine di Pompei: esso solleva più gagliardamente il cuore a Dio e rende più riboccante di tenero affetto la preghiera alla Vergine Taumaturga, la quale fa pregustare in terra ai suoi devoti figlioli le arcane dolcezze del Paradiso. Il canto di queste innocenti abbandonate eleva a Dio le anime giuste, commuove a pentimento le anime dei traviati.
 
Al momento della Comunione, gli animi, infiammati dalla vista della devota Effigie e dalla presenza di quel Porporato, che è un Santo, quale offriva a Dio il Sacrifizio di adorazione e di lode, disfogano l’interna concitazione devota in preci più fervide, per apparecchiarsi degnamente a ricevere il Frutto del seno Verginale di Maria, per dissetare l’anima alla fonte di acqua viva che rampolla fino alla vita eterna. Quattromila furono le comunioni di quella giornata, oltre le duemila della notte. Quattromila anime colsero in quei beati momenti ricevendo dentro di sé l'Autore immortale dei secoli, la fonte di tutta consolazione, il pegno della vita eterna beata. Quattromila anime per Maria andarono a Gesù a questo modo riceveva il suo più splendido trionfo nel primo giorno della sua entrata, nel Santuario di Pompei!
 
L'oratore, D. Errico Marano pronunciò il primo discorso in lode della Regina di Pompei. Il valente predicatore ebbe momenti di vera ispirazione, si elevò fino all'altezza dell'argomento, in cui trasfuse tutto l'ardore di un affetto soavemente gentile e gagliardo, tuta la ricchezza della sua fantasia di artista, tutta la profondità della,
 
sua dottrina teologica: doti eminenti che lo fanno decantare dappertutto come il Faber italiano.
 
L'ora del mezzodì era vicina: tutti gli animi commossi l’aspettavano come un segnale del Cielo che riversasse i suoi torrenti di grazie sulle creature supplicanti la gran Regina delle Vittorie. Era quella l’ora in cui da un capo all'altro della terra, ovunque si
 
trovasse un figlio della Vergine di Pompei, correva sulle labbra universale: la Supplica a Maria.
 
Gesù in Sacramento era esposto alla pubblica venerazione sull’altare dedicato alla Madre sua benedetta. Il santo Cardinale Monaco La Valletta, rivestito dei paludamenti pontificali, era prostrato in ginocchio, con tutta la illustre schiera di prelati e di sacri leviti che gli facevano ampia corona.
 
Prima che s'incominciasse la comune preghiera a questa Potente Regina, il Rev. Sacerdote Marano lesse dalla pergamena un dispaccio pervenuto allora allora da Roma, diretto all'Eminente Protettore del Santuario.
 
Era una benedizione che la Suprema Autorità della Chiesa dava a tutti i figli della Vergine di Pompei convenuti a pregare nel Santuario di fresco consacrato. Era il Padre dei fedeli, che nell'atto di benedire, invocava in suo soccorso le preghiere dei suoi figli alla Vergine del Rosario. Le parole testuali del telegramma, accompagnate da tenere riflessioni del fervoroso oratore napoletano, valsero a strappare le prime lagrime dagli occhi da quanti le udirono.
 
Ma un vero profluvio di lagrime seguì la recitazione e le voci di preghiere che tutto un popolo levava compunto e fiducioso alla Potente Regina di questa Valle. E quei vivi accenti di fede, che erano l'espressione dei gridi del cuore, col ripetersi pure in ogni festa, diventano sempre più nuovi, e sempre nuove grazie attirano dalla misericordia di Maria.
 
E gli effetti portentosi della protezione di Maria sui figli di questo suo Santuario, sparsi nel mondo, furono ben provati in quel mattino ricordevole degli 8 di maggio, nell'ora solenne del mezzodì; poiché, come abbiam saputo, in tre punti diversi d'Italia ed in Turchia la gran Vergine di Pompei operò quattro stupendi prodigi.
 
Infine la benedizione di Gesù Cristo Sacramentato e del suo Rappresentante in terra discese sopra di noi e di quanti avevano in quell'ora rivolto la preghiera e il cuore a questo Santuario di future meraviglie, a questo nuovo asilo della divina misericordia, in questa terra, dove un nuovo consiglio d'ineffabile bontà divina si va attuando tra lo stupore e la riconoscenza di tutti i credenti.
 
0tto maggio dell'Anno Quindicesimo! tu ravvicini due date sublimi da cui è cominciata la salute per tante anime traviate. Tu gridi al mondo, con la eloquenza dei miracoli: che nuovi tempi di rigenerazione religiosa si apparecchiano: che Dio si è ricordato della
 
misericordia nel furore della sua giustizia, e ha novellamente inviata Maria, celeste messaggera di pace, per ritrarre i peccatori dalla via della perdizione.
 
Addio, otto maggio dell'Anno Quindicesimo! Tu sarai ricordato a tutte le anime cristiane come avvento glorioso di una nuova pienezza di tempi donata al mondo; poiché raccogliesti i voti, le suppliche e le lagrime dei tribolati e dei peccatori compunti, e infondesti in tutti i cuori il balsamo della pace, le parole della speranza, il suggello di una unione con Dio che non si scioglierà più, perché stretta sotto gli auspicii di Maria. Addio, Anno Quintodecimo! Quando di lontano sospirammo la tua venuta, e alla nostra fantasia arrise tutta la dovizia dei favori celesti che avresti recato ai figli della Vergine di Pompei; il nostro cuore esultò di gioia, e noi ti sciogliemmo il cantico festante della espettazione. Ora che t’involi da noi, dopo aver sollevato le anime nostre alle meraviglie ineffabili, mandiamo dal cuore il saluto supremo. 0 anno di grazie! o anno di sovrana benignità della Vergine di Pompei! anno di consolazione per gli afflitti, anno apportatore di letizia ai poveri carcerati! Il Cuore non sa staccarsi dalla tua memoria. E noi nel separarci da te gridiamo – Genti, lodate il Signore, perché ha fatto cose grandi nell'Anno Quintodecimo: in esso ha glorificata dinanzi ai popoli la sua Madre divina, e ha donato ai peccatori la speranza della salvezza. Lodate il Signore, che ha cambiata la terra deserta e maledetta, in fiorente e delizioso giardino; che ha popolato della sua gente la Città muta di abitatori: e ha promesso un misterioso avvenire a questo luogo di portenti, predestinato da Lui a cose mirabili per la salute del mondo.
 
(Avv. Bartolo Longo)
Il Mese di 0ttobre consacrato alla Vergine del Rosario di Pompei
Tutti i cattolici del mondo saluteranno l’inizio del mese sacro al Rosario di Maria.
È questo il voto e la volontà suprema del Rappresentante di Cristo e noi in questo Santuario dei prodigi del Rosario consacreremo tutti i giorni e tutte le ore del mese a lodare e glorificare Colei che ha posto le pacifiche tende di sua dominazione sulla terra di morte e di rovine gentilesche. Un mese intero consacrato a lodare, ad invocare, ad amare la Vergine del Rosario di Pompei! Oh chi può anticipare quante saranno le grazie e le benedizioni celesti che ella diffonderà sul genere umano dal suo venerato soglio di Pompei in tutto il mese a Lei consacrato!
Per questo io, tra le interminabili occupazioni di questa Opera santa, e tra gli stenti del corpo infermo, mi sono sforzato di mettere fuori un libro, che se corrisponderà ai miei desideri ed ai miei propositi, sarà da capo a fondo una lirica, un salmo continuo, un
inno perpetuo alla prodigiosa Vergine del Rosario di Pompei; e confido nella bontà della mia celeste Signora, a cui ho consacrato le mie sostanze e la mia vita, che Ella si degni guidarmi anche quaggiù con l’arricchire di sue grazie quanti avranno tra mani il mio povero libro.
Ma, come accennavo, è stato uno scoppio del cuore represso nei suoi santi desideri, uno sforzo dell'animo, che dura da quattro anni. Giacché nel 1887, poi che la nostra Regina venne incoronata ed ebbe preso il possesso del suo trono in questo Santuario, io posi la mano alla stampa del mese di ottobre consacralo al Rosario; ma a cagioni di fiere tempeste suscitatemi contro da giornali che pur si dicevano cattolici, ne fui distratto, e non giunsi che alla introduzione ed al primo mistero di gaudio. Venne il maggio del 1888, ripresi il lavoro, mutai forma al libro, e con novella lena mi posi all'opera; ma venni tosto frastornato da mille contrarietà. che a suo tempo. Il l889 mi
parve più propizio a riprendere i lavori del mese di ottobre, e senz’altro giunsi a stamparne duemila fogli della introduzione e dei primi giorni; ma una infermità sopraggiuntami nel mese di maggio, da cui venni liberato col promettere un altare al Cuore di Gesù in questo Santuario, e poi nuove tempeste sorte contro di me e contro quel santo Vescovo di Nola, Mons. Formisano, ora volato al cielo, mi distolsero da quel lavoro tanto favorito, e mi fecero intendere le forze alla glorificazione di S. Giuseppe nel Santuario di Pompei, e poi del Cuore di Gesù, e poi dell'Arcangelo S. Michele.
Nel 1890 il Vescovo di Nola era morto: il Breve del Papa Leone XI, dei 28 marzo, ci dava un poco di tranquillità. San Giuseppe ebbe il suo altare nel Santuario, e tutto pareva ricondurre a quiete, e ricominciai con più intenso desiderio a ricomporre ed a ristampare il mese consacrato al Rosario; quando il quaderno di giugno da me
scritto in quell'anno, mosse il demonio ad ira contro il culto della Vergine di Pompei. E corri nuovamente a Roma, e provvedi al maggior lustro del nome si caro della Vergine di Pompei; e si dovetti menare a monte novemila fogli già stampati del povero mese di ottobre.
E mentre tutto novellamente si abbonacciava, ecco venire le grandi feste di maggio 1891, della Consacrazione del Santuario.
E il Santuario dei miracoli del Rosario nel secolo decimonono è stato finalmente consacrato al Signore e dedicato alla nostra Madre.
Grandi veramente sono state le fatiche, e non poche le pene sostenute, ma più grandi sono state le consolazioni di Dio, e noi benediciamo di cuore alle prove sostenute. Ed in mezzo a tante vicende, il pensiero di glorificare la nostra Vergine con il dedicarle
Un mese intero di onoranze non è venuto mai giù; ed ecco che, nel mese di luglio prossimo passato, ho posto mano per la quarta volta alla stampa. Sono arrivato, Dio sa con quanti stenti, a compiere la prima parte del mese che comprende undici giorni in cui sono festeggiati i cinque misteri di gaudio della nostra Madre divina.
È questo, o fratelli, il libro che oggi posso presentarvi per onorare Colei che tanto amiamo.
Voi con le vostre preghiere m'impetrerete che subito possa compiere fratelli, a gloria maggiore della nostra dolce Regina.
Orario delle funzioni nel Santuario di Pompei
La vigilia cristiana, ossia la veglia in preghiere.
Le tre novene in onore della Vergine di Pompei per apparecchio alla festa, del Rosario
avranno termine nel giorno, 3 ottobre, che chiuderà la corona dei Quindici sabati in onore della nostra Signora.
La sera di quel giorno, che è la grande vigilia del Rosario, sarà da noi solennizzata con recita del Rosario in comune, della Novena per impetrare le grazie, con solenne benedizione. Alle ore 10 della sera si farà ritorno in chiesa per incominciare il canto solenne dell’Ufficio proprio del Rosario. Verrà cantato il Mattutino e le Laudi.
A mezzanotte in punto s’incomincerà la recita delle quindici poste del Rosario. Sì che la prima ora del giorno sacro alla Regina del Rosario, cioè dalla mezzanotte all'una, ci troverà tutti raccolti ai piedi della comune Madre. Quella prima ora sarà santificata dalle nostre labbra e dai nostri cuori con il saluto a Maria e con gli affetti di gratitudine verso la sua ineffabile bontà.
Ad un'ora dopo mezzanotte verrà celebrata la Messa con Comunione generale di quanti saranno in chiesa, secondo il Rescritto del Sommo Pontefice Leone XIII del 15 luglio 1889.
Alle 2 dopo mezzanotte verrà impartita la Benedizione solenne. Alle 2,30 a. m. verrà celebrata la, seconda Messa della notte Santa.
L’ora di guardia alla Regina del Rosario sarà fatta in chiesa tutto il giorno dalle nostre Orfanelle: tutta la notte da varie compagnie di pii pellegrinanti. Proseguiranno le Messe a celebrarsi in tutte le Ore senza interruzione sino ad un'ora dopo il mezzodì della domenica.
Chi non ha mai provate le dolcezze e le consolazioni della fede, venga pure una sola volta a passar le ore della notte nel Santuario di Pompei; e ce ne sarà grado.
Il giorno del Rosario
Alle 9,30 a. m., all'arrivo del treno da Napoli in Valle di Pompei, sarà recitato nella, chiesa, in comune il Rosario. Quindi Processione delle Orfanelle della Prima Comunione. Messa piana con musica e canto delle orfanelle. Comunione generale, Comunione di 0rfanelle della Vergine del Rosario e di fanciulli e fanciulle Pompeiani. Il colloquio nella Messa per la prima Comunione sarà, detto dal grande oratore della Vergine di Pompei, il noto Sacerdote D. Errico Marano di Napoli.
Seguirà l’inno alla Vergine del Rosario di Pompei cantato da un coro di sessanta nostre orfanelle, poesia dell'Arciprete de Bonis, musica del Maestro Giacinto Liucci. Sull'ora di mezzodì, fatta oramai memorabile dai prodigi della nostra Regina, previo il consueto apparecchio, esposto il SS. Sacramento innanzi della solenne Benedizione, verrà a voce alta ed unanime recitata la Supplica alla potente Regina del Rosario di Pompei, come capo di un coro che trova eco in tutto l’universo.
Le funzioni saranno o ordinate in guisa che ciascuno che non possa trascorrere tutta la giornata qui, abbia l'agio di tornarsene col treno che parte da Valle di Pompei per Napoli alle 12,30 p. m.
Solo chi ha avuto la ventura di trovarsi nel di delle feste in questo Santuario, può dare ragione delle parole che sovente risentiamo, cioè che qui la presenza di Maria si fa sensibile a tutti e l'assistenza degli Angeli in questo luogo rende angelico l’animo di chi prega.
L’Indulgenza Plenaria alla Immagine taumaturga Pompeiana nella prima domenica di ottobre per tutto il mondo.
Col più vivo sentimento dell'animo, e con una gioia tutta spirituale ricordiamo ai nostri associati e devoti del Santuario l’amplissimo privilegio concesso dal Santo Padre Leone XIII a coloro che visitano la taumaturga effigie della Vergine di Pompei.
Quel giorno non cadrà mai dalla nostra memoria, e oggi ancora mandiamo dal profondo dell’animo i nostri filiali ringraziamenti al novello Pontefice del Rosario. che si piacque di cingere la fronte della celeste Regina di Pompei di una nuova e splendida aureola di
gloria. Quanto fu consolante la fausta notizia che il Papa aveva concessa l’indulgenza Plenaria all'Immagine della nostra gloriosa Signora di Pompei! Il frutto delle anime da quel giorno si è moltiplicato.
Le grazie celesti, che piovono per l’intercessione della Vergine di Pompei, si confondono con i tesori che la Chiesa disserra a quanti la visitano nelle due solennità celebrate ad onore di Lei, nei mesi di maggio e di ottobre. Oramai è impossibile che chi si accosti a venerare la taumaturga Regina non ne ricavi copiosissimi frutti spirituali e temporali. Se la Vergine per un alto consiglio di più profonda pietà, non intercede sollecitamente la grazia, si è sempre sicuri di aver acquistata una straordinaria indulgenza, la quale a sua volta, proscioglie l'anima da ogni debito di soddisfazione, e l'apparecchia, anzi la fa degna a meritare il soccorso celeste ardentemente invocato.
Il Rescritto Pontificio, emanato il 21 giugno 1890, concede due specie d'indulgenze: Indulgenza di trecento giorni, da lucrarsi una volta al giorno, a tutti i fedeli che con cuore contrito e devotamente visiteranno questa Santa Immagine del Rosario di Pompei, in qualunque Chiesa o Cappella pubblica sia esposta; e l’Indulgenza Plenaria a quelli che confessati e comunicati la visiteranno egualmente in qualunque Chiesa o Cappella pubblica nel giorno della festa del S. Rosario, e nel giorno 8 di Maggio, pregando, per qualche spazio di tempo, secondo l'intenzione del Sommo Pontefice.
Per due ragioni pubblichiamo un'altra volta nel nostro Periodico l’importantissimo Rescritto.
Prima per darne conoscenza ai nuovi associati al giornale ed al Santuario, affinché cavino dalla loro devozione il maggior vantaggio spirituale possibile e abbiano come un altissimo premio alla loro divozione e fedeltà.
L' altra ragione è quella di dissipare equivoci che per queste indulgenze sono sorti o potrebbero sorgere per l’avvenire.
Infatti abbiam saputo che in una diocesi d'Italia un Parroco, certamente poco informato della verità e autenticità del Rescritto, ha fatto strappare il prezioso documento che era stato posto a piedi della venerata immagine in una chiesa.
E troppo giusto che i sacerdoti vadano guardinghi nell'accogliere delle nuove Indulgenze che potrebbero falsamente spacciarsi.
Ma l’esagerato zelo diventa indiscreto e irragionevole, quando è così facile scrivere a Roma e chiedere ai superiori ecclesiastici se sia o no autentica una Indulgenza.
In quanto al nostro Rescritto, chi ancora dubiti della sua autenticità, specie se sia vescovo, parroco o semplice sacerdote, il diritto e il dovere di scriverne al Cardinal Monaco la Valletta, Protettore del Santuario, che provocò quel Rescritto, o al suo Vicario, Mons, Avv. Alessandro Carcani. Ma ecco senza più, testualmente il Rescritto. Lo riportiamo alla vigilia della festa del Rosario, acciocchè i fedeli se ne ricordino e non trascurino di guadagnare il tesoro preziosissimo della plenaria remissione, sol che visitino, confessati e comunicati, l’immagine della Vergine di Pompei in qualunque chiesa o cappella pubblica del mondo, facendo una breve preghiera secondo l’intenzione del Sommo Pontefice. (Avv. Bartolo Longo)
Presiede S.Ecc. R.ma il Vescovo di Nola Mons. Renzullo
Orario e Programma del grande anniversario
L’8 maggio è il solenne anniversario dell'edificazione del Santuario di Pompei, e del risorgimento della Nuova Città sotto il palladio della Civiltà Cristiana, dell'inaugurazione del trono della Vergine Pompeiana e dell’Incoronazione della Taumaturga Effigie, e della istituzione di tutte le Opere civili ed umanitarie che fanno corona al Tempio di Maria.
In questo anno, l'8 maggio la giornata Storica del Santuario, è il primo Anniversario dalla sua Consacrazione, e segna un altro passo al compimento materiale del Tempio, non lasciando a costruirsi che l'ultimo altare; il che formerà il soggetto della festa religiosa del maggio 1893.
Dobbiamo un ringraziamento a Dio che si è degnato di gradire un tempio da noi sue creature, e di averlo formato come Sua casa di predilezione e di grazie.
La Chiesa consacra otto giorni a benedire e a lodare il Signore nelle sue grandi solennità. Noi spenderemo non solo otto giorni, ma tutto un mese a glorificare Dio e la benedetta sua Madre di tanto bene arrecato al secolo nostro e alla nostra Italia con l’edificazione del Santuario di Pompei.
Al mattino - Ore 6 a. m. - S. Em. Rev. il Cardinal Monaco La Valletta celebrerà messa bassa pontificale all' altare di S. Domenico consacrato da lui medesimo poche ore prima.
Ore 9,30 - Recitazione del Rosario in comune. Messa bassa pontificale celebrata dall'Eccellentissimo Arcivescovo di Seleucia Monsignor Tancredi Fausti, Uditore di S. S. Leone XIII. Comunione generale.
Seguirà l’inno all'Arcangelo S. Michele Protettore e Custode del Santuario e delle Orfanelle della Vergine di Pompei, poesia dell'Arciprete de Bonis, musica del Maestro Giacinto Liucci, con coro di 96 Orfanelle.
Discorso del Rev. Sac. D. Errico Marano, rappresentante il Terz'Ordine di S. Domenico, di cui fan parte i due fondatori del Santuario.
Esposto il Santissimo, all'ora a mezzogiorno si reciterà in comune la Supplica alla Regina delle Vittorie, che avrà la sua eco in tutte le regioni del mondo.
Da ultimo l’Eminentissimo Protettore Cardinal Monaco La Valletta impartirà la solenne benedizione pontificale. Seguiranno altre Messe fino alle 2 p. m.
A sera - Ore 5,30 p. n. - Recitazione del Rosario. Canto solenne dei Vespri.
Solenne Benedizione Pontificale, impartita da Sua Ecc. Reverendissima Monsignor Tancredi Fausti, Arcivescovo di Seleucia, Uditore di S. S. Leone XIII.
9 maggio – lunedì - Ore 9,30 m. - Pellegrinaggio e funzione dei Terziari Francescani, e del Terz’Ordine de Frati Bigi, fondato dal P. Lodovico da Casoria, con a capo il Superiore Generale dei medesimi Bigi.
Ore 10,30 a. m. - Discorso recitato dal chiarissimo D. Errico Attanasio, Sacerdote Terziario Francescano, cooperatore ed amico del compianto Padre Lodovico da Casoria.
Esposizione del Santissimo, e solenne Benedizione impartita da Sua Paternità Reverendissima il Ministro Generale di tutto l’Ordine di S. Francesco.
10 maggio - martedì - Le medesime funzioni del lunedì
Alle 10:30 a. m. Discorso dell’Ill. e Rev. Prof. Giuseppe Prisco, Canonico della Cattedrale di Napoli ed emerito Professore di filosofia.
Canto delle Orfanelle - Inno - Benedizione solenne.
11 maggio – mercoledì - La funzione sarà adempiuta dai RR. PP. Francescani del Primo Ordine.
Ore 10,30 a. m. - Discorso recitato dal Chiarissimo P. Cosma da Coni dell'Osservante Provincia Romana.
Canto delle Orfanelle, Solenne Benedizione impartita da un Rev. Provinciale dell'Ordine di S. Francesco.
12 maggio - giovedì - Ore 9,30 a. m. - Le medesime funzioni del giorno innanzi, che si ripetono in tutto il mese.
Il Discorso verrà recitato dal chiarissimo oratore domenicano O.P. M. Fr. Vincenzo Giuseppe Lombardo di Acireale.
13 maggio - venerdì - Funzioni dei RR. PP. Francescani.
Il discorso sarà recitato dal Chiarissimo P. Provinciale dei Cappuccini di Napoli Rev. P. Feliciano da Sorrento.
Solenne benedizione di un Padre Provinciale dell'Ordine di S. Francesco.
14 maggio - sabato - Le medesime funzioni del giorno innanzi.
Discorso del gran zelatore della Vergine di Pompei in Piemonte, Rev. P. Fr. Mariano Angelo Rossi dei Predicatori.
La mezzanotte del 2 ottobre 1892 - Il giorno della grande solennità
La Vigilia notturna
Un tempo, quando nelle storie, ove era descritta l’età primitiva della nostra religione, si leggeva il racconto vivo efficace delle prische e commoventi solennità, celebrate con tanta profonda effusione di cuore, tra gli orrori delle persecuzioni, nei più ascosi recessi delle catacombe, ognuno rimpiangeva quell’epoca con pietosa invidia - Epoca, udivate dire, nella quale la fede fiammeggiava vivida ed inestinguibile; epoca nella quale si pregava sopra un suolo rosseggiante ancora del sangue dei Martiri, ed i Cristiani avevano l’impeto, lo slancio, la intrepidezza di chi ha combattuto e vinto, o di chi, pure escluso dalla pugna, ne ha seguite ansiosamente le sorti, a volta esultando di gioia, a volta fremendo di orrore.
- Peccato! si concludeva, che i tiepidi Cristiani di oggi di più non somiglino gli ardenti Cristiani di allora. Dove sono più quelle feste, quel raccoglimento, quella entusiastica devozione?
Amati lettori, da cinque anni in qua, quei giusti rimpianti, quegli sconforti non hanno più ragione di ripetersi, perché da un quinquennio, su questo benedetto suolo di Valle di Pompei, in due notti memorabili di ciascun anno si svolgeva un avvenimento solenne e magnifico che ricorda alla mente commossa, al cuore agitato, le feste piissime ed entusiastiche di quei primi devoti tempi.
Solevano allora i fedeli prepararsi alle maggiori feste riunendosi nella notte che le precedeva, intorno alla tomba dei Martiri, e sulla confessione di qualche eroe di Cristo, sulla pietra bagnata dal sangue del suo testamento si offriva il divino Sacrificio. Tutti quelli che assistevano alla sublime funzione, si appressavano a ricevere le Carni della Vittima celeste; e sacerdoti e laici, pontefici ed ostiari in canti alternati e tenerissimi confondevano le loro preci, unificavano il loro fervore.
Ora questo spettacolo, scomparso da secoli dalla vista dell'umanità, è divenuto un mero ricordo storico dei primi tempi del Cristianesimo, si è contemplato ed ammirato appunto, or sono pochi giorni, nella tranquilla Valle di Pompei, in questo Santuario non ancora compiuto, tra lo splendore della carità, tra infinite anime congiunte nella medesima fede e nella medesima carità, intorno a quell'altare che ben può proclamarsi l'altare della confessione dei miracoli di Maria.
Sin dalle prime ore della sera della vigilia del 2 ottobre, il Santuario era letteralmente pieno di fedeli. Poco prima, alle 5 p. m. era giunto un numeroso pellegrinaggio, ed i soli componenti si erano affrettati a prendere posto nel Tempio; ed erano in tanti, che, quando giunse l'ora nella quale i sacerdoti dovevano dar inizio alle loro solenni salmodie, non fu loro possibile trovare posto, dovettero accontentarsi di starsene dietro l'altare, confusi tra i fedeli di ogni condizione che li circondavano.
Alle ore 10 era ordinato il canto solenne dell'Ufficio che la Chiesa ha composto per la solennità del Rosario.
In tutti gli astanti il labbro formò con il cuore una sola armonia.
La folla accalcata nel Santuario, cantando coi leviti i salmi di Davide ed i mirabili inni che compongono quell’ufficio, pareva comprendesse a pieno il significato non solo di quei salmi, ma anche di quegli inni. E gli uni e gli altri scorrevano dolcissimi dalle labbra che devotamente pregavano, e lievemente, come fremito di ali angeliche, toccavano tutti gli stadi della vita terrena del nostro Redentore e della divina Sua Madre; ed armoniosi, come tocco di arpe celestiali, rapivano la mente dal Presepe al Getsemani, dal Calvario all'0liveto, sulla cima del quale avvenne l’esaltazione di Gesù e terminavano con il trionfo di Maria quando, tra una gloria di Angeli festanti, fu coronata Regina in Paradiso. Alla mestizia del Redentore, agli affanni della Madre sua, l'animo dei fedeli era invaso da una soave tristezza: alle glorie dell’uno e dell'altra, esultava con le sublimi parole del salmista.
A tanta commozione aggiungeva una nota tenerissima il canto delle voci infantili delle nostre orfanelle. Cantavano l’Ufficio notturno per la prima volta e con una espressione di così vivo sentimento, con una intonazione così pietosa nell'insieme delle loro voci argentine, che talvolta pareva di Angeli facesse eco al canto devoto della moltitudine. Ma quando si fu giunti all'ultima nota, al Benedicamus Domino, il canto tenero di quelle voci modulò il grave e solenne tono del canto gregoriano; e gli animi furono in santo rapimento trasportati a benedire il Signore, che si degna far pregustare ai mortali e viatori il preludio di quelle armonie e di quei cantici che dovranno far beati in eterno i trionfanti.
A mezzanotte
Si avvicinava l’ora della mezzanotte.
L'ora della mezzanotte ha avuto dal cielo un ricordo incancellabile. Il più sublime miracolo che si sia mai compiuto nello svolgersi dei secoli, avvenne a mezzanotte: il Creatore comparve nella sua creazione sotto forma di creatura appunto in quell'ora tra splendori e concenti angelici ed alla presenza della Immacolata Madre: la quale in quella mezzanotte rappresentava tutta intera l’umanità adorante il suo Redentore.
Quindi quell'ora è sempre stata insigne per solenni misteri, perché è la primizia del nuovo giorno, il simbolo del passaggio dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita.
Nella Valle di Pompei la mezzanotte del Rosario del 1892 ha lasciato un ricordo indelebile nell'animo di quanti ebbero l’avventura di trovarsi nel Santuario di Maria allo scoccare di quell’ora.
Fu per avventura una notte tranquilla e serena, che a noi faceva ricordare per contrasto la procellosa e devastatrice notte del passato anno 1891.
Dalla luna che brillava purissima nel cielo senza nubi, piovevano raggi candidi e malinconici sulla Valle immersa in un altissimo silenzio che nessuna voce, nessun rumore rompeva.
Una indefinibile mestizia avvolgeva tutte le cose, e nella silente quiete dei campi e della nuova e candida cittadina era Come un raccoglimento, come una aspettazione.
Anche qui un tempo si vegliava a quest’ora, ma Dio era offeso e non pregato: l’uomo dimenticava di essere uomo e si affratellava alle bestie, e i peccati medesimi della biblica Pentapoli non tardarono a richiamare anche qui la sorte delle città peccatrici.
Ad un tratto echeggiano nel silenzio i rintocchi della campana del Santuario.
Quel suono grave e commovente fa palpitare di nuove vibrazioni i cuori di quanti sono pronti a pregare nel tempio: parve una voce dal cielo, una voce santa che scendendo dall'alto annunziasse: la prima ora della grande solennità di Maria è giunta. E l'animo si solleva, e sente palpiti nuovi di allegria e di emozione eccitati dalla presenza di quella Vergine nel primo istante in cui entra la sua grande giornata delle grazie.
Quella campana, che nel giorno del suo battesimo ebbe nome Maria Rosario, in quel momento invitava tutti a prostrarsi ai piedi della Regina delle Vittorie e intrecciar la corona delle mistiche rose.
Lo stuolo fitto dei fedeli stringe nella mano il Rosario: e nonostante era rimasto là per quattro ore pigiato ed oppresso, non è per nulla stanco, e desto, come se allora cominciasse a pregare, pende commosso ed intento dalle labbra dell'eloquente oratore sacerdote don Errico Marano, la cui calda parola attinge le fiamme al Cuore di Maria.
Fratelli, egli dice, il canto dei leviti ha dato principio alla solennità della Regina del Rosario, e noi abbiamo meditato, durante i canti, i gaudi, i dolori, i trionfi della nostra Regina.
La sacra salmodia terminava con l'ultimo stadio dei trionfi di Nostra Madre, allorchè Regina si assise in cielo alla destra del suo divino Figliuolo. Appunto come Regina, delle Vittorie, Ella, in questa solennità, si presenta all'adorazione della Chiesa universale.
Maria però non è solamente Regina, Ella à Madre. E la Chiesa tutta, dopo averla chiamata Regina, la invoca con il dolce saluto dell’Angelo. Anche il popolo, dunque,
Deve salmeggiare a Maria; e dopo il Breviario dei Leviti deve in questo momento incominciare il Breviario del popolo, il Rosario.
Né a quest’ora siamo soli ad inneggiare. Oh! quanti fedeli e da vicino e da lontano, e nelle, comunità religiose e tra le pareti domestiche si sono levati allo scoccare di questa mezzanotte, ed in spirito stanno uniti con noi! Oh! quanti a quest'ora hanno rivolta, per quanto hanno potuto, la loro persona verso questa parte benedetta ove sorge questo tempio! Essi quindi pregano insieme con noi; e gli Angeli Custodi, di cui oggi ricorre la festa, sono testimoni esultanti della fedeltà di tanti veri figlioli di Maria che lasciano il riposo per santificare la prima ora del giorno a Lei sacro, e per accogliere le primizie di quelle grazie che Ella ha disposto profondere in questo
giorno sul capo dei suoi più prediletti figliuoli. Preghiamola dunque con tutto lo slancio dell’anima nostra.
Preghiamo la nostra divina Madre in questo tempio, che è la voce parlante dei suoi prodigi, ai piedi di questo suo altare, onde Ella ogni giorno raccoglie i voti di tanti pellegrinanti suoi figli; preghiamola per noi, pei nostri fratelli lontani che a quest’ora si uniscono con noi per salutarla. Preghiamola per tanti infermi che ansiosamente aspettano questa giornata nella speranza di prodigiose guarigioni. Preghiamola
pei peccatori, affinché in quest'ora lo sguardo suo pietoso impetri da Dio il perdono. Preghiamola soprattutto pel Papa, quel Venerando nostro padre che ogni cura pone nella glorificazione della Regina del Rosario ed è l’Angelo Tutelare di Santuario.
Subito dopo si intonò la corona delle quindici decadi, e rispondeva un coro di più che tremila voci, che salutavano Maria, piena di grazia, Madre di Dio. Quel fervore della prima, ora non venne mai meno, neppure per un istante.
È questo il carattere singolare della preghiera nel Santuario di Pompei, che nella seconda ora si prega con più fervore che non nella prima. Ma nella notte avviene un fenomeno strano: lo spirito dell'uomo col pregar per più ore acquista tal vigoria nella fede e tale gusto sovrannaturale nella preghiera che dimentico di sé e delle cose che lo circondano, si sente assai vicino a Dio.
Forse migliaia di Angeli discendono nel Santuario e si confondono tra le migliaia di fedeli; forse la medesima Regina del Cielo si degna santificare di sua presenza il tempio a Lei consacrato: certo, malgrado la fatica e la lunghezza delle funzioni, tutti ne desiderano il subito ritorno, tutti restano col desiderio, anzi col bisogno di pregare ancora. Tutti, senza eccezione, ripetono che, segnatamente nelle due notti, di maggio e di ottobre, la presenza di Maria si rende sensibile in mezzo ai figlioli del Rosario.
E però non temiamo di essere arditi del soverchio pensando che verrà giorno in cui, leggendosi queste pagine, si esclamerà: - 0h! beati i fedeli che videro chiudersi il secolo Decimonono! Essi gustarono quelle ineffabili dolcezze della fede, che
furono godute solamente dai Cristiani della prima e più remota epoca del Cristianesimo!...
Presiede L'Em. Card. Raffaele Monaco La Valletta
Ai miei Fratelli e Sorelle sparsi nel mondo.
Valle di Pompei, 8 giugno, 1893.
Miei Fratelli e Sorelle, che la Madre comune degli uomini ha raccolti da tutte le parti del globo per formarne la sua famiglia di predilezione, per stringervi in un solo affetto, per rannodarvi in una medesima fede, per rendere testimonianza al secolo che tramonta della Fede e della Carità di Cristo, le quali regnano ancora nella umana famiglia, io vi mando oggi un fraterno saluto.
Ed il saluto di oggi è il grido del cuore, non quel grido che io metteva or son due anni al vedere la desolazione che regna nella civile comunanza rispetto alla infanzia più abbandonala, ai derelitti figliuoli dei condannati poveri: no, no, è il grido dell'esultanza, è il grido della gioia, è il grido della vittoria.
Noi tutti, o Fratelli, possiamo vantarci e con fronte alta dire innanzi al Cielo ed alla terra: -noi abbiam dato a Dio un Tempio alla fine di un secolo che ha devastato i templi: abbiamo eretto al Re dei re una Reggia sulla terra dello sterminio; e questa Reggia abbiamo adornata di oro e di gemme in un tempo di universale miseria.
Dopo diciassette anni d'incessanti lavori, di palpiti, di oppugnazioni e di rivincite, oggi finalmente possiamo levare il cantico della generale vittoria. Intrapreso ed eretto il Tempio di Pompei con la carità privata, ma universale dei fedeli del mondo, veniva l'interno di esso compiuto con la consacrazione dell'ultima cappella dedicata alla carità: alla carità più tenera, alla carità verso i nostri fratelli estinti, verso quelle anime che con noi concorsero e con la mano e con l’obolo e con l'affetto alla erezione di questo Trono della misericordia divina. Consacrata nel passato maggio l'ultima cappella, oggi tutta, l'opera nostra è di Dio. In ogni angolo di questo Santuario è discesa la gloria del Signore, ed ogni angolo di esso è coperto dalla maestà dell'Altissimo. - In qualunque punto del tempio di Pompei si ponga il fedele a pregare, ivi, ha giurato il Signore, egli sarà esaudito.
Alleluia gridarono gli Israeliti, quando videro sorgere sulla santa vetta di Sion il massimo tempio che il più grande dei re edificò al Dio di Sabhaot, al Signore degli eserciti; e Alleluia gridiamo anche noi, ora che l'interno del tempio ė compiuto, ora che il Santuario dedicato alla Regina delle Vittorie a Valle di Pompei è giunto alla sua perfezione. Alleluia si gridi da tutte le parti del mondo che hanno contribuito con il loro obolo alla costruzione di questo Santuario mondiale, da cui partono raggi di luce che si diffondono per tutto l’universo.
Tutti convengono qui da ogni paese, e la Vergine Santissima Maria, a cui fu dato l'incarico di esser Madre di tutti, tutti accoglie fra le pieghe del suo manto, tutti ammette alle gioie delle sue materne tenerezze. La più bella creatura di Dio comparve a noi quale par tremolante Mattutina stella, e segnò e rinnovò l’alba dei prodigi e dei miracoli, e si affermò Regina delle Vittorie, Sovrana dei trionfi nella Valle che fu un giorno teatro di devastazione e di pagane rovine. Dunque la compiuta consacrazione di tutti gli altari del Santuario di Pompei ha avuto termine con le feste della più sublime carità: carità verso i nostri fratelli che sono prigionieri nel mondo di là, e carità verso i poveri figli di prigionieri, che domandano il pane della vita morale e sociale nel mondo di qua. Ma che cosa abbiamo visto nel corso del mese ora spirato? Quali fatti son concorsi a rendere memorabile il compimento del Santuario di Pompei?
Fratelli, l'uomo può appena descrivere quello che accade sotto i suoi sensi nel mondo visibile: ma nel mondo invisibile, che è quello delle anime e delle coscienze, chi può penetrare, chi può ritrarre alcuna cosa? E se in questo mondo invisibile interviene nello splendore della sua bellezza la mano soprannaturale, la mano divina, chi può narrare adeguatamente.
Il più eloquente degli Apostoli, rapito, ancor vivente quaggiù, al terzo cielo, non seppe dirci nulla di quello che lassù aveva veduto e aveva udito. Come oserei io, creatura vile dinanzi all'Apostolo delle Genti, dire le folgorazioni della gloria divina riflettute sul campo delle coscienze durante il periodo delle feste consacrate alla carità?
All'Evangelista dell’amore a Patmos l'angelo impose e disse: Scrivi quel che vedrai.
Anch'io, non sapendo fare altro, scriverò quel che ho veduto. Io vidi torme di popolo, interi villaggi riversarsi su questa Valle, dai volti compunti ed irrigati da lagrime, chiedere ad alta voce grazie e da Dio per intercessione della Benedetta fra le madri; e vidi poi questi medesimi pellegrinaggi ritornare a questa Valle di benedizione con la letizia sulla fronte, elevando voci di pubblico ringraziamento, da che il favore divino era disceso immediatamente dopo le loro supplicazioni. Vidi gente succedere a gente, di giorno e di notte, in grande numero, che la Chiesa diveniva troppo angusta, e la folla non contenuta in essa riempiva la piazza del Santuario; mentre che nuova gente riversavano sulla Via Sacra i dieci treni diurni e notturni, che sostano alla Stazione di Valle di Pompei; e la Via provinciale di Napoli-Salerno era folta di veicoli, biroccini e carretti, recando popolazioni di paesi vicini e lontani, le quali dalle montagne di Benevento, di Avellino, di Potenza, traevano a baciare la soglia del Santuario di Maria.
Vidi frotte di uomini dai visi arcigni, abbronzati dal sole, i quali da lunghi anni più non attingevano la vita dell'anima alle fonti divine dei sacramenti di Cristo: costoro, dopo poche ore di dimora nella casa di Maria, sentirono spezzarsi il cuore e scaturirne una sorgente di dolcissime lagrime.
Vidi stuoli di vergini consacrate al Signore, che nel bianco vestito raffiguravano il giglio della loro virtù; e, nella modulazione delle loro tenere preghiere, facevano gratissimo accordo con le voci robuste ed aspre dei montanari e dei rugosi agricoltori.
Vidi schiere di sacri leviti correre in santa gara per aver l'ambita, sorte di offrire l'olocausto divino sull'ara e sotto gli occhi della celeste Madre, la quale, prima sacerdotessa dell’umanità, aveva. offerto il sanguinoso sacrificio del suo Unigenito sulla montagna del dolore.
Vidi uomini che cingono la spada in difesa dell'ordine sociale e della patria, e uomini di toga, cui l'autorità sociale impone l'applicazione delle leggi punitive sui reati dell'umanità, chiedere sommessi, con la fronte per terra, il perdono delle proprie colpe al Dio delle misericordie. Vidi uomini dallo sguardo fosco e dal cinico sorriso, che avevano giurato fede a Satana, uscire da questo "Tempio con il cuore sconvolto, pentito, riabilitati a divenire figliuoli della grazia, riscattati a Cristo.
Vidi persino uomini che avevano scellerate le mani nel sangue o nell'avere di vittime innocenti. e per lunga stagione di rimorsi atroci avevano perduto ogni pace: costoro erano i più che empivano di preci e di sospiri il Tempio di Maria, sicché pareva che per violenza traessero dal Cielo la pietà. Ed il perdono.
Tutto questo io ho veduto. Ma chi ha veduto i rapidi movimenti e la bellezza dell'unione delle anime con Dio per mezzo dell'unione del Corpo e dell'Anima divina di Gesù in Sacramento? Chi può dire il rispecchiamento della bellezza del Cielo nelle anime che Ospitavano la fonte della bellezza e la fonte dell'amore?
Tutto questo nel breve corso di trentuno giorno, nello stretto periodo del mese di maggio. Ma credete voi che questo fatto così meraviglioso, così strano a questo secolo, sia al tutto nuovo e inusitato?
Oh, no, amici miei e fratelli! Tutto quello che qui è accaduto in un mese, non è che la ripetizione incessante di quanto è qui avvenuto nel corso di diciassette anni. Fin dalla prima ora in cui fu benedetta la prima pietra di alle afflitte generazioni del Secolo Decimonono le linee della sua condotta, i disegni della sua provvidenza.
Questo Santuario fin dalla prima ora apparve fonte di divina clemenza e di inaudite misericordie.
Ricordate quel che insieme più volte abbiam meditato, ed a bocca insieme ripetuto: -Iddio per la costruzione del Tempio di Pompei non seguì le leggi ordinarie della sua Provvidenza. Non si valse di uomini apostolici, insigniti del carattere sacro e dell'autorità divina; non di vergini sacre a Lui votate, che più accetta sarebbe apparsa all’occhio mortale la elevazione di un trono alla Regina delle Vergini; no. Il Dio delle misericordie, sin dalle origini, si valeva di peccatori per significare alla umanità peccatrice che il Tempio di Pompei sarebbe servito alla divina clemenza per salvare innumeri peccatori. O fratelli, anche la data di questo giorno, 8 giugno, in cui io ho dettato queste linee, è una data solenne e cara.
Già oramai non vi è giornata nell'anno che non rechi la memoria di un fatto divino che rende quella giornata memorabile cara. Ma questa data dell'8 di giugno si rapporta ai primi svelamenti degli arcani disegni di Dio sul Santuario di Pompei.
Udite. 0ggi, sono diciassette anni, due persone, un uomo ed una donna, furono viste discendere dalla via Salvator Rosa in Napoli; e, giunte dirimpetto al Museo Nazionale, volgere a sinistra, prendendo l'erta di Capodimonte. Fatti pochi passi, sostarono ad un portone a destra, sul quale si leggeva il numero 75, E qui sparirono alla vista dei viandanti.
Quel che avvenne in quel palazzo si seppe la sera medesima di quella giornata per le famiglie civili di Napoli. E gli assidui lettori del Rosario e la Nuova Pompei che posseggono il quaderno di ottobre 1891, lo sanno.
Erano appena corsi trenta giorni da quell'8 maggio 1876, in cui il Principe della Chiesa di Nola, circondato da un drappello di signori e di dame napoletane, e da un piccolo stuolo di contadini dell'abbandonata Valle di Pompei, aveva consacrata una pietra marmorea e l’aveva deposta giù nel cavo di alcune fondamenta, come pietra angolare di un Tempio per contadini, che un giorno, chi sa di quale anno o di qual secolo, sarebbe dedicato al Signore.
Gli abitatori della Valle in quell'anno non superavano le tre centinaia. Le linee di fondazione per la loro chiesa furono tracciate in larghe proporzioni, in vista dell'avvenire; di modo che, in luogo di trecento contadini, dovesse la loro chiesa contenerne un giorno anche duemila.
Nessuno al mondo avrebbe in quel giorno osato dire che questo tempio, allora stragrande per i contadini della Valle, sarebbe dopo pochi anni divenuto angusto, perché avrebbe accolto i pellegrini del mondo. Neppur noi lo sapevamo, né
potevamo immaginarlo.
La sera dunque degli 8 giugno 1876 si seppe, che ad una nobile Signora morente, la quale lasciava nella desolazione lo sposo amato e numerosa figliolanza, era accaduta una apparizione celeste.
La Vergine del Rosario, sotto quella medesima effigie che noi avevamo collocata alla venerazione dei pochi Contadini della Valle di Pompei, era apparsa a quella signora moribonda e le aveva portato a leggere, scritte su di un nastro, queste parole:
La Vergine del Rosario di Pompei ha fatto la grazia all’inferma Giovannina Muti.
E la Signora Giovannina Muti difatti ebbe la grazia della vita, fu ridonata all'amore dello sposo e dei figli, e vive tutt’ora e narra questo fatto straordinario. Ma questo medesimo fatto straordinario, avvenuto solo dopo trenta giorni dal collocamento della prima pietra del Santuario, ci rivela a prima giunta, che questo tempio sarebbe sorto non come gli altri templi ordinari del mondo, ma per mezzo di miracoli e di grazie confortatrici alle famiglie tribolate ed afflitte del secolo.
Era quella la prima apparizione con che la Regina delle Celesti Gerarchie si degnava di manifestare agli uomini la compiacenza per il nuovo tempio che cominciava ad erigersi sulla terra di Pompei. Ed in quella prima apparizione ella svelava un nuovo arcano, una nuova bandiera, un nuovo patto con i figli della Redenzione.
Era il segno, lo stesso Signum Magnum, apparso tanti secoli prima agli Angeli viatori, e poi veduto dall'Evangelista di Patmos: la Donna ammantata di sole, coronata il capo di dodici stelle, che nelle prime ore della creazione degli Spiriti angelici fu segnale di vittoria agli eletti e di perdizione ai reprobi.
Quella Donna del Sole però godeva di essere invocata dai tribolati figlioli di Eva con titolo nuovo, che esprimesse resurrezione, vita e perdono. E si piacque additarlo questo titolo fin dalla prima ora: - Regina del Rosario di Pompei: che importa risorgimento e vita là dove regna devastazione e morte, e per dono alle anime immerse nella colpa.
Ora quel titolo era segno di grazie nuove e di prodigi nuovi che avrebbero inondato la terra ogni volta che sarebbe stato con riverente affetto ripetuto dai sofferenti e dagli affitti.
Quel titolo tanto caro alla Regina dei Santi sarebbe stato anch'esso segno a guerre nuove ed a contraddizioni nuove. Ma la Regina delle Vittorie, che sempre vince, ha vinto tutte le battaglie insorte.
Quel titolo così dolce, così caro a quanti amano la verità e la pace, oggi si ode ripetere dall'orto all'occaso, dall'austro all'aquilone in cento lingue, in mille accenti diversi, sempre con fede e con amore crescente, e sempre apportatore d'ineffabili aiuti d'inauditi conforti ai cuori umani. Ora, nel corso di diciassette anni da che suonò la prima ora di questo Santuario benedetto, la Regina delle Vittorie si è degnata di svelarsi ai figli suoi, e ricordare quanto caro Le sia titolo novissimo onde veniva incoronata sulla terra delle rovine pagane, il titolo di Regina del Sacratissimo Rosario di Pompei.
Rammentate, o fratelli l’ultima apparizione della Madre nostra? Quando tra lo stupore di tutto un popolo, ridonava alla vita e alla sanità una donna attratta da undici anni. Anna Maria Vincitorio, nella città di Trinitapoli, la benigna Consolatrice degli afflitti volle additare alla gratitudine della donna beneficata il Nome di Colei che la beneficava. E mostrandole una tavoletta, le disse: «Leggi il nome di Colei che ti ha risanata.», e l’avventurata Vincitorio lesse precisamente queste parole: “La Vergine di Pompei”.
La Provvidenza dunque fin dalla prima ora di questo Santuario mostrava all'umanità attonita che esso sarebbe sorto per via di miracoli, che la sua costruzione sarebbe stata sempre accompagnata da miracoli, e che il fine di esso sarebbe stato a far rivivere nei cuori la fede e la carità di Cristo per mezzo di Maria; quella fede e quella carità che oramai sembravano spente nel mondo.
Un letterato moderno in un discorso letto poco fa in una delle più colte città. d'Italia concludeva cosi: -Siamo alla fin di secolo. Il secolo XVIII finiva con una demolizione. Gettava un colpo mortale alla monarchia, all'oligarchia, al legittimismo. Il secolo XIX tramonta con altre più vaste e spaventose demolizioni. Esso ha demolito tutti gl'ideali dell'umanità: amore di patria, amore coniugale, fede religiosa, fede civile, fede sociale. Che cosa oggi significano, dopo tante luttuose prove, i nomi onore, amore, patria, fede, onestà?
Vani suoni, vuoti di realtà, finanche la letteratura e l'arte nella sua triplice manifestazione han tentato una via incompresa, il verismo, e son cadute nel più triviale e cinico sensismo.
Questa fine di secolo dunque presenterà scritto sul coperchio della sua tomba questo motto: - Tutto è perduto.
Tutto è perduto? Oh, no, fratelli, finché resta in piedi il Tempio di Pompei non è tutto perduto. Il Tempio di Pompei è la rocca in cui stanno saldi e vigorosi gli ideali dell'umanità. In esso vive l’amore, l'onore, la fede, la carità cittadina, la carità sociale.
In tanto buio d'idee e sconforto di animi, il Tempio di Pompei è il faro che si eleva di mezzo ad una valle di devastazione per proiettare i fulgori di fede e di carità sulle più remote spiagge dell'universo. Intanto mare burrascoso di passioni umane, İl Tempio di Pompei appare come il sole che vibra i suoi vivi raggi attraverso le nuvole, per rallegrare il cuore dell'uomo e dissipare quella tristezza e quello sconforto in cui è caduto dopo le desolanti prove subite.
Fratelli e sorelle, che avete concorso all'erezione di questo Tempio, voi siete stati i privilegiati da Dio, perché Dio ha fatto sua l'opera vostra. Il tempio ben può farlo l'uomo: il ricco, il monarca, un'associazione di buone volontà possono costruire un tempio. Ma il Santuario lo fa solamente Iddio, perché il Santuario è il luogo dove Iddio effonde la Sua maestà, la Sua clemenza verso gli uomini per mezzo di miracoli; ed i miracoli può farli solamente Iddio.
Voi dunque ed io dobbiamo oggi lasciarci trasportare ad un santo tripudio, poiché abbiam visto che Dio ha gradito l’opera vostra e l'opera mia. Dobbiamo ancora essere altamente lieti, perché il Tempio che abbiamo costruito è la cittadella, in cui, nel presente scetticismo del Secolo, han trovato asilo e la fede e la carità e l’onore, l'amore che il mondo rimpiange perduti. (Avv. Bartolo Longo)
La funzione, per lo straordinario numero delle Comunioni, si è protratta sino all'ora di mezzogiorno e non mancano che pochi minuti della recitazione della Preghiera universale alla Vergine di Pompei: - la Supplica.
Questa preghiera, che oramai si leva al cielo da tutte le parti della terra, costituisce il momento più sublime, determinante direi così, finale di questa grande giornata, ed è l’espressione più viva dell'affetto, della devozione di tutto il mondo verso la Regina del Rosario venerata nella Valle di Pompei.
È dolce il pensare, che in quel momento che siamo ai piedi del trono della nostra Madre, con la Corona in una mano e la Supplica nell'altra, chiedenti grazie e benedizioni a Maria; da ogni angolo della terra, da ogni regione, dalle aperte campagne, dalle officine, dalle chiese, dagli istituti, e anche dal fondo degli ergastoli, degli ospedali, dei luoghi di sventura e di dolore, milioni di voci si uniscono a pregare con noi. Il Sacramento dell'Altare è esposto alla pubblica adorazione. Il Rev.do Marano, sempre instancabile, sempre inesauribile, volge un'altra volta la parola ai fedeli.
La sua parola, dopo una notte in veglia e dopo una giornata di solenni funzioni, è sempre fresca e sempre eccitatrice di nuove emozioni.
Ma ad un punto la campana del Santuario dà i rintocchi del mezzodì.
L'ora della Preghiera Universale è giunta. A quel suono tutti si scuotono: pare che un novello fremito corra per tutta la moltitudine. Mal repressi sospiri compongono un suono inarticolato che pure è suono di preghiera: si ode per tutto il tempio quel bisbiglio, quel movimento che è foriero di un gran momento. Quattromila persone, quante ne contiene il Santuario, strette, pigiate, accalcate, in ginocchio, prostrate, ripetono con grida e con lacrime ad una voce le parole della Supplica che ai piedi dell'Altare è intonata dal Sacerdote; ed ogni parola di lui si ripercuote di bocca in bocca nella moltitudine, come onda che succede a onda, con una nota potente,
fervorosa, piena di esaltazione, di affetto, di fede.
Quattromila persone formano le prime voci di un coro sterminato di voci supplichevoli che dalla Valle di Pompei si distende e ricopre l'Universo. Quattromila persone stringono nella mano il piccolo foglio su cui è impressa la supplica alla Vergine di Pompei, e a quella mano si avviluppa una Corona, il Rosario di Maria, e quattromila voci infine ripetono unisone:
0 Rosario benedetto di Maria, Catena dolce che ci rannodi a Dio, Vincolo di Amore che ci unisci agli Angeli, noi non ti lasceremo mai più. L’ultimo accento delle smorte labbra sarà il nome vostro soave, o Regina del Rosario della Valle di Pompei, o Madre nostra cara, o unico rifugio dei peccatori, O sovrana Consolatrice dei mesti, siate ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo. Così sia.
Ma quando si è giunto a questo punto, il piccolo foglio dove è stampata la Supplica, si trova bagnato di lacrime.
Questa è la cronaca della Solennità del Rosario nella prima domenica di ottobre nel Santuario di Pompei. Essa, mentre accrescerà di un altro glorioso ricordo la storia di questa Valle, resterà viva e luminosa nei cuori di quanti ebbero la fortuna di assistervi.
La veglia notturna e l’ora del mezzodì nell’8 maggio 1894 in Valle di Pompei
Escludo da quest’articolo ogni palpito di arte ed ogni vivacità di colori. Invece di un quadro a pennello, mi studierò di fare un quadretto a fotografia; se mi è lecito usare questa frase per indicare i fatti e le mie piccole impressioni nell'ordine genuino che riferirò i fatti e le mie impressioni nell’ordine genuino onde quelli si svolgono, e con l’intera verità onde queste si suscitano nell’animo mio. Mancano due ore all’inizio della sacra veglia notturna; e il tempio già è pieno di pellegrini di ogni terra d'Italia, ve ne sono anche di Malta, Francia, Irlanda, per quanto si nota dagli accenti, all'abito ed alla fisionomia, Mentre i Sacerdoti, miei fratelli, fin da stamane non hanno tregua per soddisfare alle domande e ad ogni passo sono arrestati da persone di ogni grado e di ogni età che bramano inginocchiarsi ai loro piedi ed ottenere il perdono delle proprie colpe: io mi sono raccolto in un angolo estremo della casa, nel gabinetto attiguo all' Osservatorio meteorologico, unico angolo rimasto libero dall'assalto dei forestieri. Ma da questo luogo stesso, un fragore sordo, come di marea che lentamente si avanza, mi ferisce l’orecchio e mi chiama a guardare.
Sono gruppi di pellegrini che tentano aprirsi il passo in mezzo ad altri gruppi arrivati poco prima e genuflessi al limitare del tempio; vi sono carri e vetture di ogni forma e colore che sfilano tra la via e la via Provinciale: sono moltitudini di donne, di uomini, di giovanetti, di vecchi, di suore, di preti, che, o recitando il rosario, o cantando inni popolari, o con devota impazienza si addensano e battono, come flutto, dentro e fuori le mura del Santuario.
Fasci di luce elettrica, raddoppiati, in questa notte, rompono ogni oscurità, e rischiarano da candidi globi smerigliati le case e l'interno del tempio in ogni suo lato; è diffusa nel tempio, come una luce dorata, che riverberandosi dalle pareti, dalle volte,
dagli altari, dalla gran massa scintillante dell'organo, avvolge tutta la calca e illumina migliaia di teste umane, le quali paiono mosse da un lieve soffio di vento, e si rivolgono tutte, con sguardo attonito, come sguardo di asceti, verso il trono di Maria.
Alle nove della sera, non vi è più in tutto il Santuario tanto luogo che basti a contenere un'altra persona; mi unisco ad altri per entrare nel piccolo spazio riservato, dietro il trono della Vergine; non vi riusciamo che dopo lunghi stenti; ma anche dopo esservi penetrati, non troviamo vuote che sole tre sedie; le altre sono state già occupate, un'ora prima, da distinte famiglie e da individui più fervidi e preveggenti. Confuso nella calca e quasi nascosto da essa, in piedi, con il libro tra le mani, del mattutino che presto s'intonerà, è il fondatore del tempio.
In piedi rimangono ancora, attorno a me, parecchi Sacerdoti addossati l'uno all'altro, senza potersi più muovere, per quanto durerà il canto non breve della sacra liturgia.
Ecco. dal fondo della Chiesa, in alto, si aprono i vasti e profondi seni dell'organo monumentale; e un'onda leggera, di voci bianche gradatamente rinforzata, come la modulazione di un sorriso verginale intona il saluto di adorazione al Re degli Arcangeli: Regem Archangelorunm Dominum venile, adoremus. E all’invito solenne della Chiesa, espresso per la bocca d'innocenti orfanelle, non solo i Sacerdoti di Dio, ma centinaia di fedeli di ogni sesso ed età, tutti con il libro dei salmi in mano, rispondono in un sol coro di affetto e di melodia: Venite, adoremus; venite, adoriamo!
Ah! io non so che sembri ad altri di questo canto e di queste preci. Per me, esso parla più alla mente che all'orecchio; più al cuore che ai sensi. In quell'invito di adorazione è l'invito universale a tutti i Cristiani d'inneggiare al decreto di sconfitta che il Re degli Arcangeli segnò contro Satana nella terra di Pompei e delle angeliche schiere ai popoli della terra di ricantare, ogni anno, i trionfi della riscossa, in questo luogo, che fu, per secoli, la tana del drago omicida; l’invito insomma ad esaltare la misericordia e la potenza del Dio vero sui frantumi dispersi del satanico soglio.
Così continua, per oltre un'ora, il canto gentile. Nessuno dà segno di stanchezza; e men di tutti le care Orfanelle, che con le voci non mai rauche, mai aspre; ma sempre fluide, leni, insinuanti alternano la mistica salmodia.
Finisce il canto, quando sta per scoccare la mezzanotte dell'otto di maggio. La prima ora di questo giorno è salutata, sull'altare, dall'elogio fecondo o pio di un antico oratore del Santuario, Enrico Marano di Napoli; un prete che possiede la nota squillante dell'entusiasmo e il segreto delle parole tenere, con le quali trattiene attenti e talvolta ansiosi i suoi ascoltatori. Poi quella turba, in cui sono rappresentate tutte le gradazioni sociali, dal contadino al marchese, dalla modesta educanda di un convitto alla vecchia matrona, dallo studente universitario al soldato, al giornalista, al filosofo, genuflette le quindici poste del Rosario.
All'una, dopo mezzanotte, escono i primi cinque sacerdoti a celebrare la Messa, e a dispensare da cinque altari la Comunione eucaristica. Dapprima non è facile giungere all'altare; ed io posso dirlo, per esperienza propria, che vi fui trasportato in quell’ora,
più allibito della folla che condotto dai miei piedi; meno facile è trovare sull’altare un luogo dove stare e muoversi per la celebrazione del Sacrificio; difficilissimo poi, per l’irruzione della calca, diventa l'ufficio di distribuire l'angelico pane. Due cari giovani studenti dell'Università di Napoli, piantati l'uno a destra l'altro a sinistra dell'ara santa dell'Arcangelo S. Michele, dove nella notte dell'otto di maggio io preferii di compiere i sacri misteri, mi rendono l’insigne favore di metter un ordine tra quella moltitudine che mi accerchiava e di tenerla, alquanto, a bada.
Ma ciò nonostante, mi pare sempre di essere ai primi tempi della Chiesa. Forse, con la stessa fede e con la stessa smania di pietà, si accostavano a cibarsi del pane dei forti i nostri primi padri, quando dal fondo del carcere tulliano udivano il ruggito delle belve
che l'indomani li avrebbero sbranati nell'anfiteatro; forse la medesima ingenuità irraggiava i loro volti, quando, ricevuto Gesù Cristo nel cuore, presentavano i polsi alle catene dei carnefici, le loro teste alla scure, le loro membra alle graticole roventi; e credo, credo in Gesù Cristo figlio di Maria Vergine, vero Dio e vero Uomo! rispondevano sempre, come prima ed ultima loro protesta che faceva impallidire i tiranni; come prima ed ultima parola di loro fede, che trionfava delle minacce, degli scherni, delle percosse e della morte.
Infatti non si può desiderare più bella, più sublime, più ampia professione di fede, di quella che si contempla, dall’ora dopo la mezzanotte all'ora dopo il mezzogiorno dell'otto maggio in Valle di Pompei; in cui, più di cinquemila cristiani, dopo aver purificato le anime nel dolore della sacramentale confessione, vanno a restaurarsi nella fonte vitale di grazie che sgorga dalla divina Eucaristia, anzi è la fonte stessa delle grazie, è Gesù medesimo che nel tempio di Pompei deve, in quelle ore, andare in cerca dei fedeli per diventare loro nutrimento; giacche (spettacolo forse unico nei Santuari del mondo!) i fedeli non possono, per la turbinosa, affluenza muoversi, come vorrebbero, ed appressarsi all’altare; ma deve Gesù, come si legge nel Vangelo, che penetrava fra le turbe fameliche per saziarle, andare ad essi per le mani dei Sacerdoti.
Questo è il vero bene, principi e milionari potrebbero, se volessero, edificare altri templi ad onore di Maria; ma trascinare i popoli a piangere i peccati, a promettere di emendarsi, e ad implorare forza unicamente dalle Carni e dal Sangue di Gesù, non può essere opera di altri che della grazia; e questa grazia, al pari di tante altre grazie soprannaturali, è effusa dal Cielo, sul Santuario di Pompei, oltre misura, a mezzanotte, mi ritirai nelle mie stanze e non seppi altro, fuorché molti Sacerdoti rimasero fermi in chiesa nelle sagrestie ad ascoltare le confessioni dei fedeli, a ricevere le crescenti carovane di pellegrini, ed a celebrare Messe, accompagnate dal canto delle orfane, fino all'una pomeridiana del giorno seguente.
Quando, il giorno otto maggio, discendo nuovamente nel tempio, manca un'ora alla supplica universale. I treni giunti, hanno riversato nel Santuario una moltitudine diversa, ma non meno densa della notte precedente. Tutti vanno in cerca di un cantuccio nel tempio, ove alloggiarsi; tutti domandano il piccolo foglio in cui è stampata la Supplica. Cinque volte io me ne provvedo per me stesso e cinque volte devo cederlo a una signora, a un avvocato e ad altri sconosciuti che me lo chiedono, in carità. E pure, da stamane non si fa altro che dispensare quei fogli, a migliaia.
Fortunati coloro, che riuscirono a trovare un posto nella cerchia del presbiterio, presso il trono di Maria! Ristretti da una calca più fitta, essi soffriranno più di tutti; ma hanno la gioia di stare più vicino, di stringersi quasi alle ginocchia della Madre. Io neppure tento di entrare in mezzo ad essi; li lascio in pace e mi allontano, ma senza invidiare la loro sorte, perché trovo un posto, relativamente agiato, presso l’altare del Cuore di Gesù. Potessi veramente impetrare, fra pochi istanti la grazia che, principalmente, chiederò per mezzo di Maria. 0 Gesù, mansueto ed umile di cuore, rendete, per l’intercessione della vostra Madre, il mio cuore simile al vostro!
Si espone intanto sull'altare il Sacramento all'adorazione del popolo. Ecco il re della gloria, che vivo e vero ci guarda tra i raggi di quell'aurea sfera; il medico divino che palpita di misericordia per noi, e per il tramite della Madre sua, qui rappresentata nelle storiche fattezze di Vergine del Rosario, risana tutte le infermità e trionfa delle potenze infernali.
L'oratore che, da quest'altare stesso, ci commosse nella notte passala, ci fa piangere anche e in questo momento, evocando i sublimi ricordi di questo Santuario, incuorandoci alla speranza, infiammando la nostra fede.
Egli non ha finito di parlare, né accenna a finire, quando i nostri orecchi odono l’alto e tronco squillo delle campane del tempio, mezzogiorno: l’ora della Supplica universale alla Madonna di Pompei. A quel suono bramato e atteso da tutti, come segnale che discende dal cielo, la voce dell'oratore è spezzata e coperta da un gemito diffuso in ogni lato del tempio; da un singhiozzo indefinibile che agita i petti e trasmuta le sembianze di tutti; e tutti, con una voce sola, che assume a poco a poco il tuono formidabile di un immenso grido straziante, fatto di migliaia di voci, rompono in quell'ardente preghiera: - 0 augusta Regina delle vittorie, o Vergine sovrana del Paradiso... volgete, in quest'ora, il vostro sguardo pietoso a noi, alle nostre famiglie, all'Italia, all'Europa, alla Chiesa... mostratevi a tutti, quale siete, Regina di pace e di perdono!
Quanto è dolce pensare in quel momento, che mentre noi siamo radunati nella casa stessa di Maria, tutti da ogni terra si uniscono a pregare con noi; e i contadini, nell'aperta campagna fermano l’aratro e si prostrano sui solchi a supplicare Maria; e i principi, nelle sale abbaglianti, si inginocchiano, a noi affratellati in spirito; e il Papa stesso prende in mano la Supplica e sospira alla Vergine di Pompei!
Passa, in quel momento, nel tempio, un soffio di soprannaturale che anche i meno sensibili, se mai ve ne sono, devono involontariamente sentire; perché il cuore umano, per quanto sia duro, viene preso, improvvisamente, come di assalto, da una forza che non è umana; e questa forza lo ammollisce, lo spetra, e nel pianto gli fa provare una dolcezza così grande che raramente, o forse non mai più proverà sulla terra.
O cara Valle di Pompei! Altri potrà narrare, con più vivi colori, le gioie che dona il tuo Santuario nel giorno otto di maggio e nella prima domenica di ottobre di ogni anno. Ma io volli narrarle, con vivi colori; volli narrarle con fedeltà. Scrissi quel che sentii, e quel che sento. E sento che questo ricordo ancor mi commuove; sento che esso durerà per anni, nel cuor mio; sento che, fra le tristezze della vita, esso mi procurerà sempre un momento di vero gaudio; sento che, negli affanni stessi della mia morte, io potrò evocarlo con un sorriso di conforto e di speranza. Ah! di speranza, che la Madre di Gesù Cristo accolga anche me tra quei figli, che in cielo la loderanno, in eterno.
Sac. Giuseppe De Bonis - Arciprete di Vallecorsa (Prov. di Roma)
Le tre Novene in preparazione alla festa dell’8 maggio 1895
Ai devoti della Vergine di Pompei ritorna sempre caro il mese di maggio, mese dei solenni ricordi e dei recenti trionfi della nostra Taumaturga Regina.
Poco tempo ci separa dalla festa propria della Vergine di Pompei nel Santuario di sua elezione, nel quale Ella si compiace di largire le più elette grazie a coloro che ripieni di viva fede vi si preparano con la pratica delle tre Novene unite alla recitazione delle 15 poste del Santo Rosario. Detta pratica, che la Benedetta Signora di Pompei si è degnata Ella stessa d'insegnare con lo strepitoso prodigio avvenuto in Napoli nel 1884, è stata così bene accolta, che non ci è angolo della terra dove non si faccia precedere alla festa di maggio la recitazione delle tre Novene. Chi dunque desidera grazie si prepari con fervore a riceverle dalle mani della nostra cara Regina nel giorno 8 di maggio, così far precedere 27 giorni di preghiere, cioè con le tre Novene d'impetrazione e con il Santo Rosario delle 15 decadi.
Rammentiamo che la prima Novena alla Vergine del Rosario di Pompei, in preparazione alla festa di maggio, incomincerà giovedì Santo, 11 aprile - La seconda Novena, incomincerà il sabato, 20 aprile - La terza Novena, incomincerà il venerdì, 28 aprile.
Il S. P. Leone XIII, con Rescritto del 29 novembre 1857, ha concesso 300 giorni d'Indulgenza per ciascun giorno a chi fa la Novena in onore della Vergine di Pompei: e indulgenza Plenaria in un giorno ad arbitrio durante la Novena o dopo averla compiuta,
premessa la Confessione e la Comunione. Per il che il devoto che compie tre Novene in onore della Vergine di Pompei, oltre le Indulgenze parziali che lucra ogni giorno, può guadagnare le tre Indulgenze Plenarie.
I sublimi trionfi della Vergine di Pompei nel maggio del 1895
La pietosa Regina di questa Valle dal primo all'ultimo di dell'anno, riscuote in larga copia l’omaggio dei cuori teneri e devoti.
Ogni giorno è onorata in questo suo prediletto Santuario con lo slancio ed il rapimento della fede; ogni giorno infine è implorata, ringraziata, benedetta dalle innumerevoli migliaia di famiglie che, sparse per il mondo, sono però sempre col desiderio e con l’affetto intorno al suo Trono di misericordia e di grazia, e d'altra parte in questo Tempio, di cui il nome suona venerato presso le genti più lontane, ogni giorno è festa, è gioia, è letizia, perché ogni giorno – tanto il Sommo Gerarca, il venerando Padre di tutti i fedeli ha voluto onorare con insigne privilegio la Sovrana di questa nascente città - vi si celebra quella dolcissima Messa del Rosario, che è tutto un cantico di giubilo e di esultanza, tutta una effusione di tenerezza e di amore.
Pure, malgrado il culto perenne ed infiammato dal più santo fervore religioso onde la Vergine del Rosario è continuamente glorificata in questa chiesa, che è come l’erario, il tesoro delle sue grazie, vi è un tempo, nell'anno, in cui le preci divengono più ardenti ed intense, i cantici più appassionati e soavi, gl'inni più solenni e maestosi; un tempo in cui sino gli augusti riti della religione parlano più efficacemente ai cuori e li scuotono e li commuovono.
Allora la valle silente e che dalle pendici del Gauro, ove una volta apparve, folgorante di paradisiaco splendore, il Duce delle milizie celesti, si stende alle falde del Vesuvio, si fa più bella, si adorna di infinita vaghezza, si ammanta infine di quegli ornamenti tutti che l’Onnipotente prodigò alla terra, affinché anche essa nel suo muto linguaggio cantasse le lodi di Lui, e l'ampio e morbido tappeto di verdura che ricopre il vasto piano con toni e con tinte che vincono la dolcezza del più puro smeraldo, diventa il nobile piedistallo, lo sfondo pittoresco, sul quale, da lontano, sembra proiettare al cielo il candido Santuario. Dalle corolle multicolori degli infiniti fiori che ingemmano i prati, sale in alto e si diffonde un effluvio dolcissimo, l'olezzo della primavera, e si confonde con le nubi odorose dell'incenso bruciato nel Tempio, e pare che arrechi a piedi di Colei che l'Eterno incoronò di stelle, l'omaggio degli uomini e quello della natura.
Quel tempo che arreca ogni anno a quanti amano Maria sempre nuove gioie, sempre nuove ebrezze, è il maggio: il mese delle glorie e dei trionfi della Vergine di Pompei. Mese di glorie e di trionfi perché allora da tutte le parti della terra si levano mille cori tutti all'unisono con quello che s'innalza dalla Basilica Valle di Pompei, e che con esso formano un coro solo; perché allora nelle chiese e nelle prigioni, nei conventi e negli ospedali, nelle sontuose case e nelle modeste casette, tutti fanno festa alla misericorde Madre delle umane creature, con quella pompa che ciascuno può, ma con eguale fervore, con affetto eguale.
E noi che anche quest’anno abbiamo assistito e partecipato. per quanto era da noi, allo slancio impetuoso ed unanime con cui i popoli e le genti hanno fatto onore alla Vergine di Pompei, ce ne sentiamo l'animo ancora commosso e trepidante. Mai, mai, come questa volta ci è difficile l'ufficio di storico delle glorie di Maria. Abbiamo ancora innanzi agli occhi lo spettacolo commovente oltre ogni dire dei pellegrinaggi che succedevano ai pellegrinaggi, partiti dai punti più opposti per un medesimo scopo, sorretti tra i disagi e i patimenti da un medesimo vivissimo, ardente desiderio, inebriati, innanzi all'altare della Madonna, della medesima ineffabile gioia. Abbiamo ancora negli orecchi le voci supplici delle migliaia di fedeli, accorsi ogni giorno per un mese intero tra le mura benedette ove aleggia il potente afflato della fede; e là emozione intima e profonda della Veglia Santa, l’entusiasmo indicibile e sconfinato della Supplica ci vibrano ancora nel cuore. Intanto si sono ammucchiate, qui, su questa tavola, le relazioni che per lettere, per telegrammi, in articoli di giornali e di periodici, ci sono pervenute d'ogni dove, a raccontarci e descriverci le feste con le quali nel mondo si è celebrata Colei, di cui l'Effigie, diciannove anni or sono, entrava in questa Valle deserta ed abbandonata di notte, avviluppata in un lenzuolo, sopra un carro carico di letame.
Ma la mano ci trema, la mente, lungi dall'ordinare fatti e raccontarli, si ferma, piena d'ammirazione, a considerare il miracolo di misericordia e di amore compiutosi nella antica sede degli dei falsi e bugiardi e delle dissolutezze pagane; e il racconto si muta in una strofa di lirica reverente e grata.
La Veglia Cristiana
 
Si avvicinava la sera del 7 e cresceva sempre il numero di coloro che si affrettavano a prendere posto in chiesa, per assistere alle notturne funzioni. Al giungere dei treni pomeridiani da Napoli, quello delle 5,06 e quello delle 8,38, pareva assolutamente impossibile che tante persone potessero riuscire a penetrare nel Santuario. Nondimeno; la grande folla silenziosa e composta, quale solo si vede e si ammira nelle grandiose feste di questa Valle, senza ostacoli e senza intoppi entrò a sua volta in chiesa, e a poco a poco giunse a collocarsi se non comodamente, almeno in modo da partecipare a tutte le funzioni della notte sublime.
 
Notte, però, per modo di dire, che i fasci abbaglianti di luce elettrica, la calca devota assembrata intorno al Trono, l’espressione vigile e commossa di tutti i volti facevano di quelle ore come la continuazione della giornata. E mentre il Paradiso, così nobilmente rappresentato negli affreschi della cupola, acquistava sotto la fulgida carezza della luce la parvenza e il moto della realtà, e pareva che dal cielo si assistesse e si partecipasse alla glorificazione di Maria, un fremito correva per la moltitudine prostrata, torrenti di lagrime prorompevano dagli occhi più ostinati a restare asciutti.
 
Ognuno pensava, che dove un giorno le anime, prive della vera luce, inseguivano un vano e fallace fantasma di felicità e i cuori non rispondevano che alla voce della superstizione o a quella del più cinico scetticismo; ora da altre anime, fidenti e consolate, si leva e s'innalza alla Vergine Madre di Dio la prece cristiana - dolcissima che a Lei parla la parola del cuore, che Le favella dei dolori e delle speranze degli uomini, che da Lei implora patrocinio, conforto, soccorso, benedizione. E sopra le rovine dei templi, ove la notte era turpemente profanata, si leva ora dolce e consolante la melodia delle voci che salutano beata e invocano propizia Colei che fu miracolo di purezza, e negli splendori della sua verginità immacolata oscurò il candore degli Angeli.
 
Dopo il Mattutino cantato dal Clero e da centinaia di fedeli, fu cantato anche il Te Deum, con grande e manifesta commozione degli astanti. A mezzanotte l’infiammato oratore della Vergine di Pompei, Rev. Sacerdote Don Errico Marano, salito sulla predella dell'Altare Maggiore, invitò tutti a coronare di mistiche rose la Regina delle Vittorie e spiegò il fine principale della santa veglia: risarcire le offese recate alla maestà di Dio, specie nelle ore notturne.
 
E certo la Vergine del Cielo e gli Angeli Custodi delle migliaia di Fedeli, e gli Angeli del Santuario dovevano godere del fervore giammai renitente col quale tanta gente insieme unita recita va la Corona del celeste Rosario.
 
Poi fu celebrato l'incruento Sacrificio, e fu non poco edificante vedere appressarsi alla sacra Mensa oltre duemila persone.
 
Non potendosi per la folla lasciare il luogo dove si era per recarsi all'Altare e ricevere Gesù in Sacramento, Gesù Eucaristia era portato attorno dai Sacerdoti e ricevuto con fede invidiabile da tutti che famelici e sitibondi di vita anelavano il Pane della vita.
L'Ora del mondo
Una commozione maggiore, però, si appressava: una maggiore dolcezza. Si avvicinava l’ora della Supplica, l’ora del mondo.
Quell'ora durante la quale, in ogni punto della terra, battono all'unisono i cuori degli innumerevoli che amano Maria, veramente sublime, nella quale la Preghiera che in pochi anni è divenuta universale, s’innalza dalla terra, ripetuta in mille lingue ed in mille idiomi, e sale come dolcissimo fumo d'incenso ai piedi Colei che tutte le preci esaudisce, tutti i doni accetta ed ha conforto e consolazione per tutti che a Lei fanno ricorso.
Anche la Supplica alla potente Regina del Rosario di Pompei fu preceduta da alcune considerazioni dell'eloquente Sacerdote Marano.
Con quella facondia infiammata e rapida che gli è propria, tra le lacrime dirotte dell'uditorio, l’Oratore della Vergine disse: - Una chiesa, o fratelli, possiamo elevarla a Dio come meglio ci aggrada; ma un Santuario se non è Dio che lo forma, che apparecchia, l’opera dell'uomo indarno riuscirebbe a crearlo.
E come fa, o fratelli, Iddio a suscitare nel mondo questi Santuari benedetti, in cui la parola del miracolo risuona tanto stupendamente intorno, in cui la fede dei Cristiani si accende, in cui la preghiera diventa potente sulle labbra e nel cuore?
Ah! fratelli, Dio opera con la potenza del miracolo: testimone questa Valle di Pompei. Da tanti secoli desolata, chi l'avrebbe detto pochi anni indietro, che qui in vista della città pagana, alle pendici di quel monte, che in Valle di Pompei sarebbe sorta una chiesa, che le chiese sorgono di continuo, ma un Santuario, che sarebbe diventato banditore di fede universale, sarebbe diventato banditore di una pietà ardente, ardentissima per quella Vergine benedetta, a cui Dio qui avrebbe elevato, in questi tempi di scetticismo e d'incredulità, un trono di grazia, e di amore?
Dio opera sugli spazi e trasforma; e come Dio comanda allo spazio, così Dio ugualmente opera sul tempo.
Guardate, o fratelli, fino a pochi anni indietro, questa giornata degli 8 di maggio era una giornata sacra al Principe delle angeliche gerarchie, era la festa di S. Michele. Ma sotto i nostri Occhi Dio volle che il Principe degli Angeli avesse diviso gli onori di questa giornata con la bella Regina degli Angeli, con Colei, che supera in purità. E questo è avvenuto, abbiamo visto una grande trasformazione: in bellezza gli Angeli medesimi del Signore il giorno 8 maggio è la festa, di Michele Arcangelo, e nel medesimo tempo è la festa di Maria, festa della pietà di Dio.
Questo tempio sorto sotto l’egida. Dell’Arcangelo Michele, unisce in un solo culto di amore il Principe degli Angeli e la Regina del Paradiso.
Come dovrà essere contento l'Arcangelo Michele nel dividere gli onori della sua festa con quella Regina, che egli tanto ama, che egli ha difeso contro la superbia di Satana, su cui egli ha elevato lo scudo d'oro, sul quale è scolpita la parola; Chi è simile a Dio? Quis ut Deus?
0ggi mi pare di vedere l'Arcangelo Michele a difesa di questa, Vergine gloriosa e santa; e additandola, ripetere: È la Madre di Dio, nessuno la tocchi, Dio la volle Madre di tutta quanta l'umanità.
E ancora la potenza di Dio in questa, grande giornata, opera, grandi prodigi. Il giorno 8 di maggio, la Festa di San Michele è diventata festa comune di lui e della Vergine del Santo Rosario; e Dio ha segnato col suo dito un'ora di questa bella giornata, in cui
aleggia come un elettrico misterioso lo spirito della sua, preghiera, suscita nelle anime un grido simultaneo di onore, di confidenza, di amore a Maria. Dio ha segnato la Supplica del mezzogiorno, di quest'ora benedetta 8 miracoli: ed i miracoli non li può fare che Dio. Ah! vuol dire che Dio ha ispirato questa Supplica, quest'appello potente alla misericordia della Madre, che è l'appello del mondo intero, che in un momento solo tutto si rivolge a Maria. Il figliolo dell'India, della Cina, del Giappone, prega con lo stesso accento ai piedi della stessa Madre, nel medesimo momento, nella medesima ora.
Ed oh! se nelle sante Scritture sta detto, che, dove sono due congregati in nome del Signore, Dio è in mezzo ad essi per ascoltarli e benedirli; oh, dove sono migliaia uniti, concordi nella medesima preghiera, la Vergine Madre è in mezzo ad essi, per ascoltare le loro preghiere, le loro confidenze ed il loro amore.
Ed ecco, o fratelli, che voi avete desiderato di trovarvi a mezzogiorno, oggi, in Valle di Pompei. E chi potrebbe enumerare quanti non l'hanno potuto? Chi potrebbe enumerare quanti palpiti tenerissimi di cuori invidiano la nostra sorte, e dicono: Beati coloro, che sono proprio sotto gli occhi della Madre! beati essi, che possono innalzare sotto lo sguardo incantevole di questa Regina, il grido, il palpito di confidenza! Dunque, fratelli, cominciamo a benedire Iddio, che nella potenza suo amore volle suscitare qui, nella Valle di Pompei una fonte di grazie e di misericordie: che volle congiungere il nome di Maria a quello dell'Arcangelo Michele.
Benedizione a Dio. che in questo giorno 8 maggio volle segnare un'ora, come l’ora della santa misericordia di Maria sopra i figli suoi.
Si elevi dunque alla Madre, pieni di confidenza, l’affetto del nostro cuore; ed il nostro sguardo, o fratelli, il nostro sguardo si distenda, lontano, agli estremi punti del mondo.
Oh! In quanti tempi, o fratelli, si eleva un'immagine, che riproduce l'immagine della Vergine di Pompei. Ecco l'ora santa: tutti dunque diciamo innanzi al Trono di Maria…
Pronunciato questo efficace e commuovente discorso, prostrato innanzi al Sacramentato esposto, il Rev. Marano cominciò a leggere ad alta voce la Supplica alla potente Regina del Rosario di Pompei.
Ciascuna parola era ripetuta da mille altissime voci di uomini e di donne, che avevano le guance irrorate di lacrime dirotte, il petto agitato da continui singhiozzi, quel grido che risultava dalla unione di tante voci, era il grido che prorompe dal cuore, grido
di supplica, grido di preghiera.
Anche dopo la recita della Supplica, le lacrime dolci e copiose per le gote di tutti furono asciugate, solo che fu impartita la benedizione col Venerabile. Quando il Dio Redentore, il Figlio della Madre di tutte le umane creature, benedisse, nella ineffabile degnazione della sua maestà, tutti gli astanti, ognuno sentì nel cuore un conforto nuovo ed insolito, una soavità grande e indescrivibile, come un saggio di quelle dolcezze immensurabili che la Vergine serba in ricompensa a coloro che meglio l’amano e la servono.
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